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Attraversare il confine: da Singapore a Malacca
Mi sveglio presto, per l’ultima volta nell’ostello di Little India.
Il rituale è ormai familiare: doccia rapida, colazione nella zona comune, scarpe all’ingresso e zaino pronto sulle spalle.
Ma oggi è diverso. Oggi inizia davvero il viaggio in terra straniera da solo.
Controllo l’email: c’è la conferma. La MDAC, la carta d’ingresso elettronica per la Malesia, è stata emessa. È tutto in regola.
Fuori l’aria è già calda, e io cammino deciso verso la prima stazione dei bus del mio viaggio. Ce ne saranno molte, ma questa la ricorderò per sempre.
Arrivo, faccio il check-in affacciandomi a una finestrella sbiadita, dentro un piccolo box. Aspetto.
Il bus arriva. Salgo a bordo, stivo lo zaino nel vano inferiore e prendo posto vicino al finestrino.
Sono emozionato.
Non solo perché sto andando in un paese nuovo, ma perché sto attraversando un confine via terra, in bus.
E io ho una vera passione per i confini.
C’è qualcosa di poetico in quei punti immaginari dove la storia ha tracciato delle linee, spesso nate da guerre, conquiste, colonizzazioni.
Ma oggi, in tempo di pace, quei luoghi mi sembrano portali, varchi che attraversano le culture.
Mi emoziona pensare che lì, proprio lì, mondi diversi si toccano.
Il bus si muove.
Guardo fuori dal finestrino. I grattacieli di Singapore si allontanano lentamente, lasciando spazio a distese di verde e alberi fitti.
Un’ora abbondante immerso nella natura, poi ricompaiono i primi edifici sparsi.
Ci siamo: il confine è vicino.
Il bus si ferma al Tuas Checkpoint.
Scendiamo tutti, uno alla volta. Entriamo in un grande stanzone moderno dove controllano i bagagli.
Poi si riparte per il secondo controllo, quello documentale.
Lì non servono più timbri: il passaporto si passa in un lettore elettronico, si attraversa un tornello, si guarda dritto in uno schermo e si attende il controllo biometrico.
Quando la macchina riconosce il volto, si apre un secondo tornello.
Sono in Malesia.
Un piccolo passo per i piedi, ma un grande salto per la mia mente da viaggiatore.
Salgo di nuovo sul bus, respiro a fondo, sento che tutto è reale.
Attraversiamo lo stretto di Johor, un ponte collega ciò che un tempo era un unico paese: Singapore e Malesia, brevemente uniti dal 1963 al 1965.
La storia scorre sotto le ruote, e io sto percorrendo una nuova pagina tutta mia.
La Malesia e la città fantasma sul mare
Appena entrato in Malesia, noto qualcosa di strano fuori dal finestrino.
Sulla costa, sulla sinistra, una distesa di grattacieli moderni, avvolti da una leggera foschia. Una vista affascinante e inquietante allo stesso tempo.
Cerco sulla mappa. È Forest City.
Non ne avevo mai sentito parlare prima.
Un nome che sembra uscito da un videogioco, ma che invece è reale: un colossale progetto immobiliare, costruito su quattro isole artificiali nella zona di Johor, al confine con Singapore.
Lanciata nel 2016 da una compagnia cinese, Forest City doveva essere una “città verde e intelligente”, capace di ospitare 700.000 persone, tra grattacieli, centri commerciali, parchi, golf club e zone duty-free.
Oggi, però, è quasi una città fantasma: appena 9.000 abitanti, edifici vuoti, strade deserte.
Mi incuriosisce. Un giorno magari ci andrò.
Ma ora il bus continua a correre, i chilometri scorrono sotto le ruote.
Dopo qualche ora, ci fermiamo per una pausa in autostrada: bancarelle di street food ovunque, anche lì.
Profumi forti, spezie, fritti. Scendo, mi sgranchisco le gambe e prendo qualcosa da bere. L’aria è calda, umida, appiccicosa.
Poi si riparte. Destinazione: Malacca.
Arrivo a Malacca e prime esperienze
Arriviamo nel primo pomeriggio. Scendo, recupero lo zaino e mi guardo attorno.
Non avevo ancora prenotato nessun alloggio, ma ricordavo di aver visto una guesthouse interessante su Booking.
Apro Google Maps e mi metto in cammino.
Dopo qualche incrocio, un uomo malese di circa cinquant’anni mi ferma.
È incuriosito. Mi guarda, sorride, e mi chiede dove stessi andando.
Gli spiego, e lui annuisce: “Buona zona”, dice.
Poi, all’improvviso, inizia a parlarmi di sé. Mi indica una vecchia scuola e mi racconta che da bambino la frequentava. Mi parla della sua famiglia, della sua vita, e mi chiede qualcosa di me.
Sono quei momenti spontanei che ti fanno capire che sei nel posto giusto.
Dopo dieci minuti, ci salutiamo con rispetto e calore. Io riprendo il mio cammino, provato dal caldo e fradicio di sudore, ma con un sorriso dentro.
Arrivo alla guesthouse, suono il campanello.
Un cartello mi accoglie, dopo la prima rampa di scale: “Take off your shoes, please”.
Tolgo le scarpe e salgo un’ultima rampa.
Mi apre la porta un ragazzo malese sorridente, insieme ai suoi due gatti curiosi.
Mi chiede da dove vengo e perché sto viaggiando da solo.
Per un attimo non so cosa rispondere, poi mi esce naturale:
“Sto cercando di incontrare me stesso.”
Lui mi guarda e dice solo:
“Wow. So, welcome to Melaka.”
Sorrido. Lo ringrazio.
Mi consegna le chiavi della stanza dopo una piccola caparra in ringgit, la valuta malese.
Poi lo saluto, promettendo che dopo una doccia sarei uscito per cercare qualcosa da mangiare.
Un pranzo inaspettato sotto il sole di Malacca
Dopo una doccia rinfrescante nella mia guesthouse semplice ma accogliente, torno in strada. Il sole non dà tregua: l’asfalto è rovente, l’aria densa, e ogni passo sembra una piccola impresa. Cerco un ATM per prelevare e, quasi per magia, ne trovo uno proprio all’esterno di un Burger King. Mentre prelevo, un profumo familiare di panini grigliati invade le mie narici e risveglia una fame che avevo messo in pausa. Senza pensarci troppo, entro. Ordino un paio di panini. Sono sorprendentemente buoni, e il prezzo è davvero basso. Un piccolo comfort occidentale in un mondo tutto nuovo.
Malacca, la città colorata che profuma di storia
Con la pancia piena e l’energia ritrovata, mi incammino verso il cuore di Malacca, pronto ad assaporarne le meraviglie. Passo accanto alla Malacca Tower, una moderna torre panoramica che svetta tra le basse costruzioni coloniali. Poco dopo, arrivo ai resti di A’ Famosa, la storica fortezza portoghese eretta nel 1511. Resto a guardarla, immobile: la pietra antica, la struttura scolpita dal tempo, mi trasportano in un attimo in un angolo d’Europa. Scatto qualche foto, ma soprattutto osservo. Sento il peso della storia nelle mie ossa.
Mi sposto verso il Memorial Pengisytiharan Kemerdekaan, museo e memoriale dedicato alla commemorazione della Dichiarazione d’Indipendenza della Malesia dal dominio coloniale britannico, avvenuta il 31 agosto 1957, e subito dopo passo per il Malacca Sultanate Palace Museum, una fedele ricostruzione in legno del palazzo del sultano. Salgo su una collinetta poco distante. Il paesaggio si apre come un sipario: Malacca ai miei piedi, il mare all’orizzonte, e un senso di pace che mi travolge. Resto lì, in silenzio. Non servono parole.
Scendo lentamente e raggiungo la celebre Dutch Square. Lì, tra le facciate color mattone acceso e le architetture coloniali, sembra di essere stati catapultati in Olanda.
Il Dutch Square è il cuore pulsante e il simbolo coloniale più riconoscibile della città. Cammino tra:
- Stadthuys, l’imponente edificio olandese del 1650, oggi museo;
- Christ Church Melaka, del 1753, con i suoi mattoni rossi e il tetto a tegole;
- La Torre dell’Orologio Victoria, elegante e vittoriana;
- La Fontana della Regina Vittoria, un monumento britannico del 1904 che zampilla nel centro della piazza.
Mi lascio avvolgere da questi colori, mi perdo tra le bancarelle di artigianato, compro qualche piccolo souvenir da portare con me, e mi avvio verso il fiume Malacca.
Sul lungofiume, l’atmosfera cambia ancora: le case colorate sull’altra sponda sembrano uscite da una cartolina. Molte sono antiche shophouses: un tempo dimore di mercanti cinesi, malesi e indiani, oggi trasformate in bar, gallerie e ristoranti. Cammino senza meta, cullato dal riflesso del sole sul fiume.
Colore, silenzio e strane creature sul fiume di Malacca
All’improvviso un signore del posto, sorridente, mi indica qualcosa: un varano d’acqua asiatico, immobile sulla sponda. Lo fotografo, poi lo riprendo in un video. Ma con un movimento fulmineo, si tuffa nel fiume e scompare. Poco più avanti, un bambino taglia l’erba con delle forbici accanto a una tartaruga gigante. Tutto è così surreale, eppure perfettamente normale in questo angolo di mondo.
Mi siedo su una panchina. Il fiume è silenzioso e calmo. Poi un battello lo attraversa, lentamente. Cerco informazioni per prenotare una gita, ma il mio telefono non carica nulla: ho finito i giga della e-sim acquistata online. Provo a cercare un bar con Wi-Fi, ma la città sembra dormire. È primo pomeriggio e l’aria è immobile.
Connessioni inattese: un incontro tra viaggiatori solitari
Proseguo e incontro una ragazza, non sembra malese. Le chiedo in inglese se conosce qualche locale aperto. Mi indica un centro commerciale poco più avanti. Iniziamo a chiacchierare. È cilena, vive in Nuova Zelanda e sta viaggiando da sola da mesi e gliene mancano ancora un altro paio prima del ritorno. Le confesso di invidiarla per tutto quel tempo che ha a sua disposizione per viversi la libertà. La ascolto con ammirazione. Penso: “Che bello. Altri viaggiatori solitari. Allora non sono solo io così pazzo.”
Scopriamo di parlare entrambi spagnolo, e la conversazione si fa ancora più fluida. Scambiamo impressioni, esperienze e… Instagram. Le chiedo se ha fatto il giro in battello: non ancora. Le dico che ho intenzione di farlo quella sera, visto che il giorno dopo devo partire per Kuala Lumpur. Decidiamo di farlo insieme.
Proseguo verso il centro commerciale, che si rivela triste e desolato, quasi un casermone sovietico abbandonato. Salgo fino al quarto piano: negozi chiusi, luci spente, corridoi deserti. Sembra una città fantasma. Torno al piano terra e in fondo dall’altra parte trovo finalmente uno Starbucks, ordino un bubble tea. Non mi piace affatto, ma riesco a rinnovare la e-sim. Dopo una pausa all’aria condizionata, torno sul lungofiume, sull’altra sponda.
A metà tragitto vedo un murales su una parete e un distributore automatico. Provo a comprare una bottiglia d’acqua, ma litigo con la macchina per venti minuti. Mi ha preso i soldi, ma non l’ha erogata. Probabilmente era rotta. Rido da solo, esasperato e accaldato.
Templi, moschee e rispetto: la bellezza della convivenza
Mi dirigo verso Chinatown, visito il magnifico Cheng Hoon Teng Temple, dedicato a Guan Yin, la Dea della Compassione. Respiro quell’aria mistica, profumata d’incenso, carica di silenzio e preghiera. Poco più avanti, la Masjid Kampung Hulu, una delle moschee più antiche della città. In pochi metri, ho attraversato una chiesa cristiana, un tempio buddista e una moschea. Questo mosaico di culture e fedi che convivono pacificamente mi commuove. E mi fa riflettere. Soprattutto pensando a quello che succede oggi nel resto del mondo.
Torno verso il centro. Il sole cala. Il fiume si accende di luci. Passo per Jonker Walk, (ufficialmente conosciuta come Jalan Hang Jebat) è la strada più famosa e vivace del centro storico di Malacca, in Malesia. È il cuore del quartiere cinese della città. Purtroppo essendo lunedì, non posso assistere allo spettacolo del vivace mercato notturno che si tiene solo nei fine settimana. Cose che capitano quando non si pianifica nulla. Quindi entro in un supermercato cinese li accanto e prendo una bevanda all’essenza di lime e liquirizia. Anche questa non mi convince. Ma mi siedo fuori, sul terrazzino, guardo il fiume illuminarsi. È bellissimo.
Finisco la bevanda ed esco dal supermercato, mi intrufolo in un vicolo e mi trovo in un parcheggio immenso. In lontananza, un durian gigante. È finto, ovvio, ma curioso. Mi avvicino: Durian Land, bar dedicato interamente al frutto più controverso del Sud-est asiatico famoso (o famigerato) per le sue dimensioni, la sua scorza spinosa e, soprattutto, il suo odore estremamente pungente e distintivo. Non l’ho mai assaggiato, quindi decido di assaggiare un caffè ghiacciato con durian frullato. Scelta coraggiosa: non lo digerirò per due giorni.
Malacca si accende: luci sul fiume e una crociera da ricordare
Torno in guesthouse, saluto uno dei gattini residenti, mi faccio una doccia, mi vesto e torno in strada. Direzione: terminal dei battelli. La mia amica cilena è lì. Ci imbarchiamo sul Melaka River Cruise, l’aria è fresca, piacevole. Il battello segue il percorso che avevo fatto a piedi nel pomeriggio. Ma di notte, tutto è diverso: i colori, le luci, i rumori, tutto è magia. Mi siedo a prua, da solo. Lei non si offende. Sa cosa significa essere dentro un viaggio. Goderselo in silenzio.
Il battello passa di nuovo vicino al centro commerciale fantasma. Poi inizia il ritorno. Altri quindici minuti di vento fresco sul viso, immagini che mi si imprimono nell’anima.
Scendiamo e decidiamo di cenare insieme sul lungofiume, al primo posto aperto. Ordino un piatto malese speziato e una birra gelata. La cena è semplice, ma bella, perché condivisa. Il locale inizia a chiudere, sistemano tavolini e sedie. Restiamo ancora qualche minuto, a osservare il fiume e il riflesso delle luci nelle sue acque scure.
È tardi. Oltre la mezzanotte. Ci salutiamo. La ringrazio per la compagnia, le storie, le risate. Ognuno riprende il suo cammino.
Dentro il viaggio, finalmente
Io mi fermo ancora un po’ lungo il fiume. Mi siedo per terra, fumo una sigaretta. Due ragazzi malesi, gli unici in giro, si avvicinano. Sono curiosi, gentili. Mi fanno qualche domanda. Rispondo con il sorriso. Parliamo un po’, ci salutiamo. “Good night.”
E lì, seduto in silenzio, sento che qualcosa è cambiato.
Non sto più guardando il viaggio da fuori. Sono dentro. Totalmente. Non sto più raccontando a me stesso quello che vedo. Lo sto vivendo. Lo sto assaporando. Sta entrando dentro di me. Ma io, lentamente, sto anche entrando dentro di lui. Mi lascio attraversare da questa sensazione di libertà, di verità, di presenza. È meraviglioso.
Mi alzo, felice e stanco, e, nel silenzio della notte di questo gioiello malese, torno “a casa”. La guesthouse è silenziosa. Tolgo le scarpe, salgo le scale. I gatti dormono. Il proprietario pure. Doccia. Letto. Gratitudine.
Chiudo gli occhi. E dormo.
3 risposte
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Grazie Vittorio mi e’ piaciuto tantissimo, finora, il tuo diario di viaggio mi hai fatto provare le tue emozioni e guardare con i tuoi occhi ! Cinzia
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Hai notato che nelle foto della strada di Jonker Walk ci sono giusti 3 ragazzi che la stanno attraversando? Beh mi fatto pensare alla famoso foto del Beatles. Comunque ho potuto sentire le tue emozioni, ti capisco benissimo quando dici che sei dentro il viaggio.
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Durante lo scatto non me ne ero accorto, poi quando ho riguardato la foto ho avuto la stessa impressione anche io :-) Sono contento di riuscire a trasmettere le emozioni e mi fa piacere che anche tu hai vissuto la sensazione di essere dentro il viaggio.
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