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Il risveglio lento di un viaggiatore e l’incontro con il best friend asiatico (7-Eleven)
Punto la sveglia alle 9:30. Oggi posso dormire un po’ di più: l’autobus per Kuala Lumpur parte alle 13:00. Mi stiracchio nel letto, ascolto il silenzio della guesthouse ancora addormentata, poi mi alzo. Doccia rapida, zaino da chiudere, ultimi oggetti da sistemare. Scendo in strada in cerca di colazione.
Ed eccolo lì, il mio fedele compagno di viaggio in Asia: un 7-Eleven mi sorride dall’altro lato della strada. Entro, e subito il profumo familiare di brioche confezionate e lattine fredde mi avvolge. Scelgo qualcosa di semplice: una brioche e un latte al cioccolato freddo dal frigo. Mi siedo a uno dei tavolini interni, osservo la gente che entra ed esce.
Poi, un piccolo shock culturale: tra le vetrine… vedo sigarette elettroniche usa e getta in vendita. Mi stropiccio gli occhi. Sì, sono loro. Non me l’aspettavo. In Malesia il fumo elettronico è permesso. Ne prendo due, di gusti diversi. Non costano tanto. Alla cassa scambio due parole con la commessa, simpatica e sorridente. Poi esco.
Appena fuori, provo quella al watermelon. È buona, fresca. Svapo un paio di volte, poi torno alla guesthouse. Rampa di scale, scarpe da togliere, e il sorriso familiare del proprietario che mi accoglie ancora una volta.
Chiacchiere, consigli e Grab
Parliamo per qualche minuto. Gli racconto i miei piani. Gli dico che sto puntando al Triangolo d’Oro, il punto in cui si incontrano Thailandia, Laos e Myanmar, divisi solo dal fiume Mekong. Gli brillano gli occhi: non ci è mai stato, ma ne ha sentito parlare. “Un posto speciale,” mi dice. E io gli credo. Per me, che ho una vera ossessione per i confini, quello è un traguardo simbolico. È come mettere uno spillo su una mappa dentro il cuore.
Scattiamo un selfie insieme, saluto ancora i suoi gattini curiosi, e vado in camera a prendere lo zaino. Prenoto un Grab direttamente dall’app (Basta aprire l’app, selezionare la destinazione e il prezzo appare subito. Il pagamento? Comodo e veloce, con la carta collegata al profilo): prima di lasciare Malacca voglio vedere una cosa, la Masjid Selat – la famosa moschea sul mare. Me l’ha consigliata proprio lui, e non posso ignorare questo consiglio.
Una moschea sospesa tra cielo e mare
Inaugurata nel 2006, è un perfetto esempio di architettura islamica moderna, arricchita da elementi tradizionali. Colpisce subito il contrasto tra la cupola centrale in stile mediorientale e le quattro torrette angolari con tetti malesi. Un mix armonioso di culture.
La facciata, completamente bianca, è decorata da vetrate colorate con motivi islamici. Immancabile il minareto, alto 30 metri, che di notte si illumina interamente e viene usato anche come faro per le imbarcazioni.
L’auto arriva. Saluto il proprietario e i gattini per l’ultima volta, indosso le scarpe ed esco. Il driver non parla quasi inglese, ma tra gesti e frasi tradotte sul telefono, riusciamo comunque a comunicare. Gli chiedo se può aspettarmi dopo la visita alla moschea per portarmi alla stazione dei bus. Annuisce e, una volta arrivati, mi attiva direttamente una seconda prenotazione per il tragitto successivo. Comodo, veloce. Il sistema Grab funziona alla perfezione.
Scendo dall’auto. Il caldo è asfissiante, il cielo è pulito, il mare è calmo. Mi incammino sulla spiaggia, davanti a me il profilo perfetto della moschea, sospesa sull’acqua, come se galleggiasse. Il bianco delle sue pareti contrasta con l’azzurro intenso del cielo e il verde smeraldo del mare. Un panorama che lascia senza fiato.
Resto qualche minuto in silenzio. Per osservare. Per ascoltare. Per assorbire tutto ciò che ho intorno.
Poi rientro in auto. Direzione: stazione dei bus di Malacca.
Attese e partenze
All’arrivo vago per qualche minuto nel grande edificio cercando il punto giusto per il check-in. Un po’ di confusione, qualche richiesta d’aiuto, e finalmente trovo il Gate corretto.
Mi siedo. Attendo.
L’orario si avvicina, ma del bus nemmeno l’ombra. Vado a chiedere conferma: tutto ok, solo un leggero ritardo.
Dopo dieci minuti, il bus arriva. Attraverso il tornello, esco nel piazzale, stivo lo zaino e prendo fiato.
Due colpi di svapo.
Salgo.
Si accendono i motori.
Il bus si muove.
Di nuovo in viaggio. Di nuovo da solo.
La prossima meta mi aspetta.
E io… sono entusiasta.
Kuala Lumpur: dal silenzio di Malacca al caos scintillante della capitale
Dopo un paio d’ore di viaggio, il bus si ferma alla stazione di Bandar Tasik Selatan, uno dei principali terminal di Kuala Lumpur. Scendo, ancora un po’ frastornato, e la prima cosa che cerco è un bagno per sciacquarmi il viso. L’acqua fredda mi riporta al presente. La stazione è grande, viva, con un andirivieni continuo di persone, taxi, valigie e voci sovrapposte.
Seguo le indicazioni e attraverso un ponte pedonale sopraelevato che mi conduce a una stazione della metro. Prossima fermata: Bukit Bintang, il cuore pulsante della città, il quartiere più famoso e frenetico della capitale malese.
Lì mi aspetta la mia nuova sistemazione: una stanza al 32º piano di un grattacielo. Prezzo onestissimo. Promessa di vista mozzafiato.
Dopo circa 40 minuti di metro, esco dalla stazione e mi ritrovo immerso in un’altra dimensione. Un salto netto dalla tranquillità di Malacca al caos organizzato di Kuala Lumpur. È tutto un fermento: clacson, gente ovunque, insegne luminose, incroci impossibili. Mi ricorda Bangkok, dove ero già stato anni fa: quel mix di disordine e meraviglia che solo le grandi metropoli asiatiche sanno regalare.
Attraverso la strada con attenzione, evitando gli scooter che sfrecciano, e mi fermo a mangiare qualcosa. Un piccolo banco ambulante proprio accanto a un McDonald vende spiedini di pollo speziato. Il profumo è irresistibile. Mi siedo su una panchina improvvisata, mentre sopra di me scorrono i binari sospesi della metro, come serpenti d’acciaio tra i palazzi. A Kuala Lumpur, molte linee della metropolitana sono sopraelevate, creando un’atmosfera da film futuristico.
Finito di mangiare, mi incammino verso il grattacielo che sarà la mia casa per un paio di notti. Entro nella hall: è piena. Viaggiatori in arrivo, famiglie in partenza, valigie ovunque. Aspetto il mio turno. Finalmente mi accoglie un ragazzo dall’aspetto indiano, simpatico, solare. Mi chiede la caparra. Stavolta è alta, molto più di quella della guesthouse di Malacca. Frugo nel portafoglio, ma non ho abbastanza contanti. Lui sorride:
“Nessun problema. Prendi la tessera, segnati il mio numero. Mi porti la caparra con calma, quando esci per prelevare.”
Gentile. Onesto. Mi ha risparmiato una corsa in più.
Salgo in ascensore. Vengo sparato in alto a una velocità tale che mi si tappano le orecchie, come durante un decollo. Al 32º piano si aprono le porte. Cammino nel corridoio, inserisco la tessera, apro la porta…
Wow.
La camera è spaziosa, luminosa, pulita. Ma ciò che mi paralizza per qualche secondo è la vista. Dalla vetrata immensa vedo la città sotto di me, ma soprattutto loro: le Petronas Twin Towers, simbolo assoluto di Kuala Lumpur.
Quelle due meraviglie d’acciaio, alte 452 metri, sono state per anni le torri più alte del mondo. E oggi, anche se superate in altezza, restano le torri gemelle più alte del pianeta.
Rivestite di vetro e acciaio inox, scintillano sotto il sole. E di notte… di notte diventano una cosa diversa: un faro urbano, una scultura illuminata che sembra voler toccare il cielo.
Mi faccio una doccia veloce e decido di esplorare l’edificio. Prendo di nuovo l’ascensore e salgo fino al 40º piano.
Lì mi aspetta una piccola palestra panoramica, silenziosa, con vista sulla città. Poco più avanti, una piscina a sfioro all’aperto, immersa tra grattacieli.
È come se il mio viaggio stesse vivendo una parentesi di lusso inatteso. E io, in quel momento, non posso che sorridere e sentirmi grato.
Da Malacca al 40º piano di Kuala Lumpur. Sempre più dentro il viaggio.
Piazza dell’indipendenza e la scoperta del presente
Prendo l’ascensore e scendo al piano terra. La città mi chiama.
Esco in strada, il traffico è già in piena corsa. Mi avvio a piedi verso la metro, diretto verso una delle tappe più simboliche del mio viaggio: Merdeka Square, la piazza dell’indipendenza malese.
Prima, però, decido di fare una sosta utile: scendo a KL Sentral, la stazione centrale di Kuala Lumpur. Voglio informarmi su dove prendere il treno per raggiungere, il giorno successivo, le famose Batu Caves.
All’interno della stazione scopro un centro commerciale enorme, moderno e brulicante di vita. Cammino un po’ senza meta, guardo le vetrine, osservo la gente. La varietà culturale è impressionante: visi cinesi, indiani, malesi, turisti europei. Kuala Lumpur è davvero un crocevia di mondi.
Mi fermo a un piccolo sportello e acquisto una tessera ricaricabile per i mezzi pubblici, pratica e conveniente. Poi noto una lunga fila davanti a quello che a prima vista sembra un bar. Mi avvicino, incuriosito.
Chiedo a un ragazzo cosa si stia vendendo e lui, sorridendo, mi risponde:
“È uno dei dolci più amati in città.”
Guardo meglio: spiedini di palline fritte, croccanti fuori e morbide dentro, ricoperte da una colata di cioccolato fondente fuso. Sembra una follia. Ne prendo uno. È delizioso. Lo mangio con le mani, ridendo da solo. Kuala Lumpur sa anche essere dolce.
Dopo questa parentesi golosa, riprendo la metro e scendo a Masjid Jamek. Seguo Google Maps, cammino tra le strade inondate di luce e arrivo a destinazione.
Merdeka Square.
Ci sono.
Un ampio prato verde, curato come un campo da golf, al centro del quale sventola l’enorme bandiera malese.
È qui che, il 31 agosto 1957, la Malesia proclamò la propria indipendenza dalla Gran Bretagna. È qui che venne ammainata la Union Jack per l’ultima volta, lasciando spazio alla nuova identità nazionale.
Oggi, quel prato ospita famiglie, giovani, bambini. È Ramadan, e molte persone sono sedute su stuoie colorate in attesa del tramonto per rompere il digiuno. Alcuni chiacchierano, altri pregano, qualcuno legge il Corano.
È un momento di condivisione, di rispetto, di armonia.
Io, che non sono musulmano, attraverso il prato con delicatezza, facendo attenzione a non calpestare nulla. Trovo un piccolo muretto di pietra dall’altra parte della piazza e mi siedo. Respiro a fondo.
Osservo.
Di fronte a me, al di là della distesa di persone, sorge l’elegante e imponente Sultan Abdul Samad Building, oggi sede del Ministero dell’Informazione, Comunicazione e Cultura della Malesia.
Un edificio del tardo Ottocento, costruito in mattoni, con arcate moresche, colonnati curvi, una torre dell’orologioalta 41 metri e cupole di rame che riflettono la luce del tramonto.
Alle sue spalle, i grattacieli moderni sembrano volerlo abbracciare senza soffocarlo. Antico e contemporaneo convivono, come tutto qui.
Resto lì per almeno venti minuti.
Non parlo. Non faccio foto. Non scrivo note.
Mi limito a sentire.
Sento che qualcosa dentro di me si sta aprendo. Sono dall’altra parte del mondo, a migliaia di chilometri da casa, circondato da una cultura diversa, in un Paese che non conoscevo. Eppure, mi sento bene.
In equilibrio.
Presente.
Non ci sono pensieri che mi riportano al passato. Non ci sono ansie che mi proiettano nel futuro. C’è solo adesso, e io ci sono dentro.
È la prima volta, da tanto, che provo una sensazione del genere.
Mi sento vivo. Mi sento vero. E tanto mi basta.
Nel cuore di Kuala Lumpur
Mi alzo dal muretto e inizio a vagare senza meta. Voglio visitare Jalan Petaling, ma non ho fretta. Passo su un ponte che attraversa il River of Life: la vista è stupenda, e assisto incantato allo spettacolo di luci che illuminano il corso d’acqua nella notte, creando un’atmosfera quasi surreale. Resto lì per qualche minuto, rapito, poi riprendo il cammino.
Finalmente arrivo a Jalan Petaling, una delle attrazioni turistiche più note della capitale. Situata nel cuore del quartiere cinese, questa via è un’esplosione di vita, colori e profumi. È diventata meta popolare per chi cerca autentici prodotti cinesi, street food e un’atmosfera unica. Conosciuto anche come Chinatown, il mercato è un fitto labirinto di bancarelle, negozi e ristoranti. Qui si può trovare di tutto: dai souvenir tradizionali ai vestiti contraffatti, dalle spezie ai gioielli, passando per prodotti elettronici e articoli per la casa.
Uscendo dall’altra parte del mercato, mi imbatto in una strada piena di ristoranti e bancarelle di street food. I profumi mi riportano bruscamente alla realtà: non ho ancora pranzato. Scelgo un posticino che mi sembra autentico: sgabelli di plastica, tavolini bassi, e la maggior parte dei clienti sono locali. Ottimo segno. Qualche turista qua e là, ma niente di troppo affollato. Ordino un piatto di noodles saltati con uova, tofu, cozze, gamberi e calamari. Quel mix mi sembrava irresistibile.
Mentre aspetto, chiedo di andare in bagno. E, come se il tempo si piegasse su se stesso, mi ritrovo in un déjà vu: mi indicano un altro edificio, entro dal retro della cucina di un ristorante, e mi trovo nel bagno. Questa volta, però, è meno pulito di quello a Singapore. Torno al mio tavolino, e nel frattempo metto in carica il cellulare con la mia powerbank: uno strumento imprescindibile quando si sta fuori tutto il giorno.
Finalmente arriva il mio piatto, servito in una sorta di pentola. Una spruzzata di lime e inizio a mangiare. Tutto squisito. Mi gusto ogni boccone e, alla fine, resto un po’ seduto a osservare il mondo che mi scorre intorno: persone che lavorano, altre che passeggiano, turisti che girovagano. Tutto bellissimo, ed io ero lì, nel mezzo di quella vita, a godermela.
Mi alzo, pago il conto e faccio i complimenti allo “chef” per il piatto. Apro Google Maps, come al solito, e noto che lì vicino c’è un tempio induista (Sri Maha Mariamman Temple). Mi ci dirigo con curiosità, ma arrivo proprio mentre stanno chiudendo. Chiedo cortesemente se posso fare una visita veloce, ma l’uomo che sta chiudendo mi risponde con un secco: “No, it’s late. Come back tomorrow.” Ci resto un po’ male, ma poi penso che anche lui avrà avuto le sue cose da fare. In fondo ero fuori orario. Lo saluto con un sorriso e mi dirigo verso il Central Market.
Fondato nel 1888 dagli inglesi, l’attuale edificio in stile Art Déco è stato completato nel 1937, diventando una parte fondamentale della vita cittadina grazie alla sua posizione vicino al terminal degli autobus di Klang. Entro e faccio un giro: è abbastanza moderno e i negozi stanno iniziando a chiudere. Ci resto una quindicina di minuti, poi esco e mi dirigo verso la vicina stazione Pasar Seni.
La mia prossima destinazione è la regina di Kuala Lumpur, la più attesa: le Petronas Twin Towers. Scendo a Dang Wangi, per godermi anche una vista della Kuala Lumpur Tower, situata su una piccola collina lì vicino. Lo spettacolo è suggestivo e, sorprendentemente, non c’è troppa gente: forse le Petronas hanno un fascino troppo magnetico per competere.
Decido di andare a piedi. Cammino lungo uno stradone trafficato per una ventina di minuti, finché inizio a vedere una folla crescente, soprattutto all’altezza di un incrocio. Mi avvicino. Sento il cuore battere più forte. Giro lo sguardo a destra e… eccole. Le Petronas. Imponenti. Illuminatissime. Incredibili.
Mi ritrovo immerso tra turisti in cerca dell’inquadratura perfetta, ognuno con il proprio telefono puntato verso il cielo. Alcuni “local” si sono organizzati come veri e propri fotografi di strada: girano con attrezzatura fai-da-te fatta di luci, treppiedi e cellulari, offrendo ai passanti un servizio fotografico in stile “Instagram ready”. Uno di loro mi propone di farmi uno scatto, ma rifiuto con un sorriso. Preferisco osservare il loro teatrino: offerte, trattative, scatti, sorrisi.
Scatto qualche foto anche io, poi attraverso l’incrocio. Sembra quasi di essere a Shibuya, a Tokyo, dove sono stato qualche anno fa. Mi avvicino fino all’ingresso delle torri. Le guardo. Sembrano comandare il cielo di Kuala Lumpur. Mi siedo lì, in silenzio, tra mille persone eppure completamente in pace con me stesso. Al centro della Malesia, da solo, ma mai così presente.
Dopo una mezz’ora mi alzo e mi avvio verso la metro più vicina. Passeggio ancora un po’, con le Petronas nella mente. Scendo a Bukit Bintang: ora è piena di vita, ancora più affollata. Mi faccio spazio tra la folla e torno in hotel.
Salgo al 32º piano. Una doccia rigenerante. Mentre mi preparo per uscire, una videochiamata di gruppo con i miei amici mi trattiene per una decina di minuti. Ne approfitto per rilassarmi, condividere emozioni, raccontare le ultime ore. Poi chiudo la chiamata. Guardo l’orologio: quasi mezzanotte. Per un attimo mi assale un dubbio: “Non sarà troppo tardi?”. Ma poi mi ricordo: sono in Asia. Do un’occhiata alla vetrata della mia stanza e davanti a me si presenta la città di notte. Illuminata. Attraente.
Senza fretta, esco. E mi butto nella vibrante notte di Bukit Bintang.
Attraverso la strada e vengo accolto da un ragazzo con un serpente gigante intorno al collo. Ottimo inizio. Più avanti, tra karaoke, ristoranti e mini-market, in un incrocio un gruppo suona musica dal vivo. C’è tanta gente. Mi fermo cinque minuti ad ascoltarli, poi proseguo verso Jalan Alor, una delle strade più iconiche di Kuala Lumpur. È un tripudio di luci, odori e sapori. Tanti ristoranti, bancarelle, cibo malese, cinese e thailandese. Cammino, mangio qualcosa al volo, e mi ritrovo in una strada piena di bar e locali.
Ne scelgo uno che sembra tranquillo. Entro. Prendo una birra. Intorno a me gruppi di amici che ridono, coppie che si tengono per mano, gente che passeggia fuori. Una birra, un momento. Tutto perfetto.
Termino la mia birra, pago e, invece di tornare indietro, prendo una strada diversa. È più silenziosa, meno affollata. Scatto qualche foto in un vicoletto tranquillo, poi torno alla mia torre.
Ascensore. Piano 32. Orecchie tappate. Entro in camera. Doccia veloce, denti lavati. Mi butto a letto. Stanco, ma felice. Guardo le Petronas, ora sono spente. Dormono anche loro. E anche io, finalmente, mi abbandono al sonno.






















































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