50 visite
Un’avventura a Kuala Lumpur tra le spettacolari Batu Caves, treni bloccati e lo street food che rende unica questa vibrante città.
Un risveglio dorato
Un nuovo giorno inizia a Kuala Lumpur. Apro la tenda della finestra e il sole mi investe con i suoi raggi caldi. Le Petronas sono ancora lì, ferme e solenni come custodi silenziose della città. Dopo una doccia veloce, esco deciso: oggi si va alle Batu Caves.
Verso le Batu Caves
Raggiungo la stazione metro di Bukit Bintang e scendo a KL Sentral, uno snodo immenso che sembra quasi un aeroporto. Supero l’area commerciale e mi dirigo verso i binari: qui sono disposti come gate aeroportuali, ordinati e numerati. Cerco la linea blu del KTM Komuter Train, quella giusta per le Batu Caves. Una ragazza, sorridente, mi conferma:
— Of course!
Passo il tornello con la tessera dei mezzi che avevo comprato il giorno prima e scendo con le scale mobili. Il treno non è ancora arrivato: ho circa 20 minuti di attesa. Mi siedo su una panchina, rovisto nello zaino e… mi accorgo di aver dimenticato il cavo per caricare il telefono. Ottimo. So che mi servirà, quindi mi alzo al volo e mi dirigo verso il centro commerciale, deciso a trovarne uno in fretta. Il primo market mi dice di no. Salgo allora al primo piano, cammino veloce, e finalmente trovo una bancarella di elettronica. Chiedo alla ragazza, che tira fuori il cavo giusto. Lo pago in fretta e torno di corsa ai binari.
Dopo pochi minuti, il treno arriva. Tutto perfetto: cavo acquistato, treno preso.
Scimmie, gradini e spiritualità
Il viaggio dura circa 40 minuti e 6-7 fermate. Quando scendo, la stazione di Batu Caves è piccola, semplice. Solo due binari e una tranquillità distante anni luce dalla folla di KL Sentral.
Appena esco, mi ritrovo davanti all’ingresso del complesso dei templi induisti. Scimmie ovunque, già prima di varcare l’ingresso. Saltano, camminano, si muovono indisturbate tra la gente. Decido di mantenermi a debita distanza — so che a volte possono essere poco amichevoli — e mi limito a scattare foto e video. L’atmosfera è unica, fuori dalla normalità, e mentre mi avvicino alla statua dorata di Lord Murugan, sento crescere una spiritualità palpabile.
A un certo punto, alla mia sinistra, si apre un piazzale. Ed è lì che mi si presenta uno degli scenari più iconici della Malesia: la gigantesca statua dorata di Lord Murugan e, accanto, la scalinata colorata di 272 gradini che porta alle grotte. Resto immobile, ammirando quel mix perfetto tra spiritualità, architettura e natura. Faccio qualche foto, qualche selfie. Una ragazza filippina, vedendomi solo, si offre di scattarmene una.
Mi avvicino ai gradini. Sono ripidi, quasi una scalata. Una donna indiana urla qualcosa — forse per indicare il verso giusto da prendere. Inizio la salita, e le scimmie mi accompagnano passo dopo passo. La scena è quasi surreale.
Arrivato in cima, tutto sudato, mi volto: la vista è spettacolare. La statua di Murugan è lì sotto, imponente, le sue spalle rivolte verso di me. Mi dirigo verso l’ingresso delle grotte. Davanti a me c’è la Temple Cave, la più grande del complesso. Lo spazio interno è arioso, e la volta rocciosa, alta più di 100 metri, lascia filtrare la luce creando giochi di ombre mozzafiato.
All’interno, statue delle divinità induiste: Murugan, Ganesha, Shiva. Salgo anche un’altra piccola scalinata, che conduce a una cavità più alta da cui penetra una luce intensa. È incredibile pensare che tutto questo sia naturale.
Mentre inizio a scendere i gradini, sento le prime gocce. Poi un acquazzone. Torno velocemente nella grotta per ripararmi. All’improvviso, un boato: un grosso pezzo di roccia si stacca dall’alto e cade a terra, sfiorando un ragazzino francese. Un attimo di panico. Per fortuna non si è fatto nulla.
Scosso, ma sollevato, aspetto che smetta di piovere. Quando inizia a spiovere, indosso un impermeabile leggero comprato da 7-Eleven e inizio la discesa, con cautela. Il piazzale si è svuotato, cammino sotto i portici e cerco un posto per pranzare.
Dosa e Maracuja
Trovo un ristorante indiano, abbastanza nascosto e poco frequentato dai turisti. Entro, mi tolgo con fatica l’impermeabile incollato dalla pioggia e dal sudore, e mi siedo. Ordino quello che vedo mangiare da un indiano seduto poco più in là: si chiama Dosa, una sorta di crêpe accompagnata da salsine varie. È squisito. Ne ordino subito un altro, stavolta con un succo di maracuja. Le cameriere, tutte indiane, sorridono nel vedermi così soddisfatto. Ricambio i sorrisi, mi lavo le mani, pago e faccio i complimenti.
Cerimonia induista e la paura di rimanere scalzo
Dopo pranzo, giro tra i negozietti di souvenir lì vicino. Una scimmia, nel frattempo, si gode il succo lasciato da qualcuno. Non so se le faccia bene, ma lei sembra apprezzarlo. Sorrido e mi sposto.
Il piazzale si sta riempiendo di nuovo. Dei botti improvvisi mi fanno sobbalzare: i guardiani fanno esplodere petardi per allontanare i piccioni, tantissimi. Visito altri due templi del complesso: nel primo assisto a una cerimonia con incensi e musiche, simile a quella vista a Singapore. Il secondo, più tranquillo, è pieno di statue colorate. Le scimmie ogni tanto entrano dalle finestre, e alcuni addetti, armati di bastoni, cercano di tenerle a bada.
Mi viene in mente che ho lasciato le scarpe fuori dal tempio, e per un attimo temo che una scimmia possa avermele rubate. Mi immagino a camminare scalzo fino in città e mi viene da ridere. Fortunatamente, sono ancora lì.
Hanuman, l’ingresso sbagliato e il ghiaccio
Mi avvio verso l’uscita e scopro che c’è un’altra zona visitabile: la Grotta Ramayana. All’ingresso, una statua alta 15 metri raffigura il dio Hanuman, il devoto aiutante di Rama. Ci sono due ingressi. Scelgo quello a sinistra e pago qualche euro. Dentro, una stanza fredda con un attaccapanni pieno di giubbotti pesanti. Non capisco, ma ne indosso uno.
Entro nella stanza successiva e mi ritrovo circondato da sculture di ghiaccio. Il freddo è pungente. Il contrasto con i 40 gradi esterni è folle. Solo in quel momento capisco: ho sbagliato ingresso. Rido da solo. Una mamma e sua figlia russe mi scattano qualche foto mentre mi siedo su una poltrona di ghiaccio.
Esco in fretta e il caldo mi riaccoglie come una coperta. Trovo l’ingresso corretto, pago un altro piccolo biglietto ed entro nella vera Grotta Ramayana. L’ambiente è colorato, illuminato, pieno di statue e scene tratte dal poema epico indù. Un’esperienza affascinante, che mi accompagna per un’altra mezz’ora.
Un’ora fermo, dentro un frigorifero su rotaie
Infine, mi avvio lentamente verso la stazione. È tempo di tornare a Kuala Lumpur.
Entro nella stazione e mi dirigo verso il binario. Non ci sono indicazioni chiare, così chiedo a un addetto se da lì passa il treno per KL Sentral. Due soli binari, nessun cartello. Attendo il mio treno, che arriva dopo un quarto d’ora. Salgo e mi accomodo su un seggiolino: il vagone è semi vuoto e l’aria condizionata così forte da riportarmi alla mente la stanza delle sculture di ghiaccio di Malacca.
Il treno parte. Dopo la seconda fermata, però, si blocca prima della terza. Inizialmente sembra una sosta per dare precedenza a un altro convoglio, ma passano dieci minuti… e siamo ancora lì. Cerco lo sguardo degli altri passeggeri, ma sembrano tutti confusi e spaesati. Nessuno sa cosa stia succedendo.
D’un tratto, dagli altoparlanti arriva un messaggio del capotreno, ma è in malese e l’audio è così disturbato che non si capisce nulla. Mi avvicino a una signora del posto: anche lei scuote la testa, non ha capito niente.
Passano altri venti minuti. Siamo ancora fermi, rinchiusi nel vagone che ormai è diventato un frigorifero. Non ho una felpa nello zaino, quindi cerco di riscaldarmi strofinandomi le mani sulle braccia. Altri venti minuti. Finalmente arriva il macchinista che spiega alla signora malese che andrà nella cabina posteriore per riportare il treno nella stazione precedente, così da permetterci di scendere.
Il treno si rimette lentamente in moto. Dopo qualche minuto, torniamo indietro e ci fermiamo nella stessa stazione di un’ora prima. Appena si aprono le porte, esco subito per cercare un po’ di calore. Il macchinista ci informa che il treno sarebbe ripartito… ma non sa quando.
A quel punto, le poche persone presenti abbandonano la stazione. Faccio lo stesso. Esco e prenoto un Grab che mi riporti in hotel. Dopo una decina di minuti arriva la macchina, mi metto comodo: il tragitto durerà circa mezz’ora. Chiedo al driver se sa qualcosa sul problema della linea, ma anche lui non ne sa nulla. Così cerco online.
Scopro che un treno della linea LRT Kelana Jaya ha subito un guasto tecnico alla stazione di Abdullah Hukum, causando un forte rumore e una colonna di fumo.
Ecco svelato il motivo per cui ho passato un’ora congelato nel treno KTM — che, per inciso, non ha nulla a che vedere con l’acronimo colorito che potrebbe venire in mente a un napoletano… anche se, in quel momento, ci sarebbe stato a pennello. 😄
Ultima sera in città (e in Malesia)
Arrivato finalmente in hotel, mi butto sotto la doccia. Un po’ di relax, poi esco. Direzione Jalan Alor, in cerca di cibo. Scelgo una bancarella di street food, prendo spiedini di carne e un succo di dragon fruit, quel frutto rosa acceso originario delle zone tropicali, dolce e rinfrescante. Mi godo la calma della serata, passeggio lentamente, osservo la gente, mi lascio trasportare da quella leggerezza che solo i viaggi possono dare.
Faccio un giro lungo per rientrare in hotel, ricordandomi che questa è l’ultima notte a Kuala Lumpur. L’ultima anche in terra malese. Il giorno dopo si parte per la Thailandia, direzione Bangkok.
Una conversazione inaspettata
Quando arrivo nei pressi della mia torre, entro in un 7-Eleven per comprare qualcosa da mangiare a colazione il giorno dopo. Mentre pago, inizio a parlare col cassiere, un trentenne malese molto simpatico. Mi chiede del viaggio, e incuriosito vuole sapere dove andrò. Dopo venti minuti di chiacchiere, entrati ormai in confidenza, mi confessa di essere omosessuale. Gli chiedo allora come viene vissuta l’omosessualità in Malesia.
Mi racconta che, essendo un paese a prevalenza musulmana, cerca di nascondere il suo orientamento sessuale. Forse, però, è anche un limite che si impone da solo, perché i malesi, secondo lui, sono un popolo inclusivo. Per precauzione, preferisce usare app di incontri piuttosto che farsi vedere in giro con altri uomini. Forse anche il suo carattere un po’ introverso lo porta a comportarsi in questo modo.
Quando sto per salutarlo per rientrare, mi fa una “proposta indecente”. Sorrido e, con gentilezza, gli dico che mi piacciono le donne. Lo saluto, gli auguro buona vita… e me ne vado.
Buonanotte, Kuala Lumpur
Torno in camera, mi do una sistemata e mi butto sul letto. Sono davvero stanco. Ripenso alla giornata appena vissuta, a tutto ciò che è successo, e piano piano… mi abbandono al sonno.







































Lascia un commento