Il respiro lento di Kanchanaburi: Capitolo 11
6–9 minuti

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Il mio viaggio a Kanchanaburi è fatto di cambi di rotta improvvisi, incontri casuali che lasciano un segno, e di momenti sospesi tra storia e natura. Dal dialogo con un anziano curioso delle mie banconote al silenzio del River Kwai Bridge al tramonto, tra mercati notturni e strade deserte, scopro che qui il tempo scorre lento. È proprio in questa lentezza che imparo il vero significato del vivere nel presente, anche nei gesti più semplici: un pasto condiviso, una passeggiata solitaria, una sigaretta sotto le stelle.

Un risveglio bollente

La sveglia suona a Kanchanaburi. Mi alzo lentamente e mi accomodo nel patio per fare colazione. Appena esco, vengo investito da un caldo infernale, persino peggiore di quello di Bangkok. In un attimo i miei piani saltano di nuovo: avrei dovuto recarmi a Hellfire Pass, ma con quel sole implacabile non sarebbe stata una scelta saggia. Cambio rotta. Mi butto nella piscina del resort, tutta per me, e mi concedo una mezz’ora di puro ristoro e silenzio.

Rientro in camera, faccio una doccia rinfrescante e decido di uscire a pranzo. Il caldo mi impedisce di allontanarmi troppo, così mi rifugio in un 7-Eleven poco distante. Scelgo uno di quei panini imbustati che vengono riscaldati nel microonde, prendo una bibita fresca e mi siedo al bancone davanti a una grande vetrata che affaccia sulla strada, accanto a un uomo anziano.

Un incontro inatteso al 7-Eleven

Mentre mangio, un fastidio dalla tasca cattura la mia attenzione: il portafogli, stracolmo di banconote e monete, mi provoca un dolore al fianco. Lo svuoto sul bancone e da lì esce di tutto: banconote dimenticate da anni, perfino quelle della Cambogia e del Laos, ricordi concreti dei miei viaggi di sei anni prima.

L’uomo accanto a me, incuriosito da quella varietà di valute, mi chiede da dove provengano. Gli racconto i miei viaggi, mostrandogli ogni banconota. Lui mi guarda e sorride: “Sei fortunato ad aver viaggiato così tanto”. Annuisco, con un mezzo sorriso. Poi mi chiede da dove vengo e, quando gli dico di essere italiano, di Napoli, i suoi occhi si illuminano. Mi racconta di aver lavorato anni prima per una società di trasporti diretta da un signore napoletano: ne parla con affetto, sottolineando quanto fosse una brava persona, giusta con i dipendenti.

Restiamo a parlare per mezz’ora buona, scambiandoci ricordi e impressioni. Quando ci salutiamo, mi augura buona vita. Io ricambio, portando le mani unite davanti al petto e accennando un leggero inchino. Mi sento bene, grato: mi accorgo che qui, in Thailandia, le persone hanno ancora il tempo e la voglia di coltivare relazioni umane, un’abitudine che nelle grandi città italiane si è ormai persa, soprattutto a Milano, dove vivo, dove tutti corrono e nessuno si ferma davvero.

Verso il River Kwai Bridge

Tornato in camera, prendo lo zaino ed esco. Apro Google Maps: il River Kwai Bridge dista appena tre chilometri. Sono le 17, il sole non è più spietato, così decido di raggiungerlo a piedi. È il modo migliore per scoprire davvero un luogo: passo dopo passo, cogliendo dettagli che un’auto o un altro mezzo lascerebbero scivolare via.

Dopo circa mezz’ora arrivo al ponte. Ci sono pochi turisti, l’atmosfera è tranquilla. Sotto di me scorre il fiume Kwai, sopra i binari della leggendaria Ferrovia della Morte. Cammino sui binari, fermandomi negli spazi laterali creati dai pilastri, pensati per lasciare passare i treni.

Sull’altra riva si staglia un maestoso tempio cinese, dominato dalla statua imponente di Guan Yin, che guarda il fiume e il ponte come a proteggerli. Poco distante si estende il Concentration Camp Market, dove venditori ambulanti offrono cibo e bevande. Alcuni cani randagi girano tra i turisti, ma sono docili, quasi assuefatti alla loro presenza.

Il tramonto sul fiume

Il sole pian piano inizia a calare, tingendo il cielo di rosso e arancio, e la fame inizia a farsi sentire. Mi dirigo verso uno dei ristoranti galleggianti sulla riva del fiume. Il posto è grande e suggestivo. Una ragazza sorridente mi accoglie e mi fa scegliere il tavolo. Non c’è troppa gente, così mi siedo accanto a una ringhiera affacciata sul fiume, proprio di fronte al ponte. Da lì posso ammirare il tramonto spettacolare, con il sole che lentamente scompare dietro l’orizzonte.

Ordino un piatto di riso con frutti di mare e dei piccoli pesci di fiume fritti accompagnati da una salsa agrodolce, e una limonata fresca fatta in casa. Ogni boccone è delizioso. Mangio lentamente, godendomi il silenzio interrotto solo dal rumore dell’acqua. Buon cibo, tramonto e brezza dal fiume: un momento di pace assoluta. E il prezzo, sorprendentemente, è modesto: meno di 15 euro per un pasto così esclusivo.

Pago il conto e torno nei pressi del ponte. Adesso, nella notte, si illumina di luci che cambiano colore, creando un’atmosfera quasi magica. Il caldo afoso è scomparso e respiro libertà. Dopo un po’ prenoto un Grab e mi faccio portare alla stazione degli autobus per organizzare il viaggio del giorno dopo, da Kanchanaburi ad Ayutthaya.

Spaesato alla stazione

Alla stazione mi trovo spaesato: le scritte sono tutte in thai, impossibili da decifrare. Chiedo indicazioni a qualche passante, ma nessuno sembra sapere quale autobus prenda quella direzione. I negozi sono chiusi, e la stazione sembra quasi abbandonata. Per fortuna trovo uno sportello ancora aperto. Busso con esitazione e una signora, sorpresa, mi apre mentre stava cenando. Mi scuso, ma lei con gentilezza mi invita a chiedere. Le spiego la mia situazione e mi aiuta a capire quale bus dovrò prendere, scrivendomi informazioni su un foglio e mostrandomi una lavagnetta con gli orari che si trova nella postazione da dove parte il mio bus. Mi rassicura che potrò acquistare il biglietto direttamente a bordo.

Con queste preziose informazioni in tasca, mi dirigo al night market vicino alla stazione. Faccio un giro tra le bancarelle, ma non ho fame: la cena di prima mi sazia ancora. Continuo a camminare senza meta. Lungo la strada incontro templi buddisti, edifici governativi, perfino un negozio di parrucchiere dove all’interno alcune persone giocano a carte per terra.

Una città (quasi) fantasma

Proseguendo mi ritrovo in un’altra zona del lungo fiume, con un grande tempio buddista e, di fronte, una palazzina abitata dai monaci. Non ci sono cancelli, così entro con curiosità. All’interno, silenzio e tante statue di Buddha, quasi come un deposito. In lontananza scorgo qualche monaco, forse di guardia. Uscendo dall’altra parte mi ritrovo direttamente sulla riva: davanti a me un pezzo di terra illuminato, con case di legno immerse tra le palme. Controllo su Maps e scopro che si tratta di un camping. In lontananza sento cani abbaiare: meglio tornare verso la città.

Attraverso una strada decorata con un murale dedicato al treno della Ferrovia della Morte e continuo a vagare. Tutto sembra chiuso, la città ha i tratti di una ghost town. Solo una donna fuori casa intreccia qualcosa con le mani. Le chiedo cosa stia facendo, ma non capisce l’inglese. Resto a guardarla per qualche minuto, in silenzio, e poi riprendo a camminare.

Più avanti, incrocio la statua “Tongzi Riding Koi“, che significa “Bambino che cavalca la carpa”. È una rappresentazione classica della mitologia cinese, dove un bambino (spesso un “tongzi” o ragazzo celeste) cavalca una carpa koi gigante. La carpa simboleggia perseveranza, buona fortuna e trasformazione (la leggenda dice che le carpe che nuotano controcorrente diventano draghi).

Poi finalmente, una zona più viva: scendo lungo un’altra parte del fiume, dove c’è un parco con una pista da corsa e qualche locale. Coppie passeggiano mano nella mano, giovani ridono seduti sul prato. Mi unisco a quel ritmo lento, cammino lungo la pista e poi mi siedo anch’io sull’erba, osservando la gente e il fiume che scorre. Rimango lì una mezz’ora, assorbendo quella sensazione di benessere autentico.

Poi, con calma, riapro Google Maps: il resort dista circa tre chilometri. Decido di tornarci a piedi. Attraverso strade deserte, e dopo mezz’ora mi ritrovo nella via dei bar e dei minimarket. Entro in un 7-Eleven, ormai diventato un rituale, e compro qualcosa per la colazione del giorno dopo.

Un cielo stellato

Arrivato al resort, saluto la signora all’ingresso e mi accomodo di nuovo nel patio. Accendo una sigaretta, guardo il cielo stellato e sento dentro di me una verità semplice: questo viaggio mi sta insegnando davvero cosa significa vivere nel presente, anche nelle cose più piccole.

2 risposte

  1. Avatar
    Anonimo

    che belli questi tuoi appunti di viaggio Vittorio
    sei proprio bravo a narrare e a portarci con te ..non ti ho letto per un po perche ero in vacanza ma ora recupero!
    un abbraccio grande

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    1. Avatar Vittorio Ragno

      Sei gentilissimo/a. Grazie mille, spero che ti trasportino con la stessa intensità anche i prossimi capitoli :-)

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sono Vittorio

e ho deciso di raccontare il mio viaggio in solitaria attraverso l’Asia, zaino in spalla e spirito d’avventura.

Dopo anni di lavoro tra uffici e, di tanto in tanto, in giro per il mondo, ho sentito il bisogno di ritrovare un po’ me stesso. Così, nel 2025, ho preso un volo e ho attraversato Singapore, Malesia e Thailandia in un mese.

Questo blog nasce per condividere emozioni, errori, scoperte e ispirazioni.

Qui troverai itinerari, curiosità locali, consigli da viaggiatore e storie vere.