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Una giornata ad Ayutthaya, tra templi millenari, un tour in barca sul Chao Phraya e incontri che lasciano il segno. Dal sorriso della gente del posto alla forza di una donna cilena di 75 anni che viaggia ancora da sola, questo capitolo racconta non solo i luoghi visitati, ma anche le emozioni che li hanno resi indimenticabili.
Risveglio ad Ayutthaya
Inizia una splendida giornata ad Ayutthaya. Mi sveglio con lo stesso spirito della sera precedente: leggero, positivo, felice. Dopo una doccia veloce, esco e vado a fare colazione in un piccolo bar vicino alla guesthouse. Un paio di sandwich e un succo d’arancia sono sufficienti per darmi la giusta carica per iniziare questa nuova avventura.
L’incontro con Mr. Manop
Torno alla guesthouse e aspetto Mr. Manop, che arriva dopo poco. Lo saluto e lui mi mostra l’itinerario che faremo insieme. Scopro che non è da solo: con lui c’è anche la moglie, che ci accompagnerà nel giro. Sorrido, salgo nella parte posteriore del tuk tuk e partiamo.
Le strade scorrono davanti a me: il vento in faccia, la gente che lavora, e ondate di turisti che scattano foto a ogni angolo. È un miscuglio di vita quotidiana e frenesia da viaggio.
Per prima cosa mi accompagna alla stazione dei bus, dove compro il biglietto per Sukhothai del giorno successivo. Solo allora può davvero iniziare il nostro tour tra i templi.
Templi e rovine tra sacro e quotidiano
– Wat Yai Chai Mongkhon: il Buddha sdraiato e la stupa alta 60 metri –
La prima tappa è il Wat Yai Chai Mongkhon.
Situato fuori dalle mura di Ayutthaya, questo tempio storico fu fondato nel 1357 e ampliato nel XVI secolo da re Naresuan per celebrare una vittoria contro la Birmania. Scendo dal tuk tuk e Mr. Manop mi indica dove acquistare il biglietto: il costo è una donazione simbolica di 20 bath, come in quasi tutti gli altri siti. Attraverso le numerose bancarelle di souvenir ed entro.
A pochi passi dall’ingresso incontro un Buddha sdraiato, davanti al quale tanti turisti si affollano per scattarsi foto. Poco più avanti si erge la celebre stupa alta 60 metri, che domina la scena. Dopo una ventina di minuti trascorsi nel sito, torno fuori: Mr. Manop e sua moglie mi aspettano già sul tuk tuk.
– Lo spettacolo triste degli elefanti da turismo –
Riprendiamo il giro e la tappa successiva è un luogo dove i turisti possono fare un giro sugli elefanti. La scena che mi trovo davanti non mi piace: elefanti legati con catene di ferro, costretti ad aspettare di portare i visitatori sulle loro gobbe. I loro occhi mi sembrano tristi, segnati dalla fatica e dalle condizioni in cui vivono. Non riesco a trattenermi: lascio quel posto quasi subito e, quando Mr. Manop mi chiede se mi fosse piaciuto, gli rispondo infastidito che non credo che, se avessero trattato lui allo stesso modo, con catene e obblighi, sarebbe stato contento. La conversazione si chiude lì, ma dentro di me resta l’amaro.
– Wiharn Phra Mongkhon Bophit: devozione e souvenir –
Un po’ deluso da quella scena, ci dirigiamo verso il Wiharn Phra Mongkhon Bophit.
Qui si trova una statua bronzea del Buddha seduto, alta 17 metri (compresa la base), risalente al XV secolo. Il tempio, ricostruito dopo l’invasione birmana del 1767, fa parte del Parco Storico UNESCO ed è un luogo di grande devozione e pace. Mi prendo un po’ di tempo non solo per visitare il sito, ma anche per osservare le numerose bancarelle di souvenir che vendono graziosi oggetti buddhisti.
– Wat Maha That: la testa del Buddha tra le radici –
La tappa seguente è il Wat Maha That.
Situato nel cuore di Ayutthaya, fu fondato nel 1374 come tempio reale sotto il re Borommarachathirat I. In passato era il centro spirituale e politico della città, custodiva la reliquia del Buddha e ospitava il trono patriarcale. Distrutto dai birmani nel 1767, oggi è celebre soprattutto per la testa del Buddha avvolta tra le radici di un albero, diventata un simbolo iconico del Parco Storico UNESCO. Quella visione è davvero spettacolare, suggestiva. Mi fermo qualche minuto in silenzio, quasi in contemplazione, e poi ritorno verso il tuk tuk.
– Wat Lokayasutharam: il Buddha sdraiato e il braccialetto della fortuna –
Mr. Manop mi porta quindi al Wat Lokayasutharam.
Situato a pochi passi dal centro, questo sito ospita un maestoso Buddha sdraiato lungo 42 metri, costruito nel XIV secolo. Dopo l’invasione del 1767 cadde in rovina, ma oggi resta un luogo tranquillo, immerso nel silenzio del Parco Storico UNESCO.
Appena fuori trovo le solite bancarelle di souvenir. In fondo, quasi nascosta, c’è una signora anziana che sembra vendere piccoli oggetti dalla sua umile casetta. Mi avvicino, scambio due parole con lei e acquisto un braccialetto buddhista. Le chiedo se avesse un significato particolare, e lei, sorridendo, mi dice che porta fortuna. La saluto con il solito inchino, riconoscente, e torno al tuk tuk.
– Wat Phu Khao Thong: la stupa e la storia di Naresuan –
Il giro continua con la visita al Wat Phu Khao Thong.
Nel 1569, il re birmano Bayinnaung iniziò la costruzione di una stupa, fermandosi però alla base. Fu nel 1587 che re Naresuan la completò in stile thailandese, dopo aver liberato Ayutthaya. Successivamente, il re Boromakot la restaurò, facendola diventare una stupa in pietra bianca alta 80 metri. Oggi troneggia nel Parco Archeologico come un monumento imponente alla resilienza della città.
– King Naresuan Monument: leggenda e galli votivi –
Non lontano, Mr. Manop mi porta al King Naresuan Monument.
Il monumento si erge maestoso, dedicato al leggendario re del Siam (1590-1605), famoso per aver liberato il paese dalla dominazione birmana. Fu inaugurato nel 1992 per celebrare i 400 anni dalla sua vittoria in un duello su elefante. La statua lo raffigura in armatura, simbolo di coraggio e indipendenza. Intorno al monumento ci sono centinaia di statue di galli da combattimento, a volte migliaia, coloratissime e disposte a perdita d’occhio.
Mr. Manop mi racconta la leggenda: da giovane, Naresuan, prigioniero in Birmania, scommise la libertà di Ayutthaya in un combattimento tra il suo gallo e quello del principe birmano. Il suo vinse, umiliando l’avversario e diventando simbolo di quel coraggio che lo portò, anni dopo, a conquistare l’indipendenza del Siam. Ancora oggi, i thailandesi portano queste statue come offerte, ringraziando per desideri esauditi e mantenendo vivo lo spirito combattivo del re.
– Wat Na Phra Men: cerimonia, benedizioni e incontri –
Torniamo sul tuk tuk e raggiungiamo il Wat Na Phra Men Rachikaram.
È un tempio unico, uno dei pochi risparmiati dall’invasione del 1767 grazie alla sua posizione strategica. Costruito nel XIV secolo, ospita un magnifico Buddha seduto e un ubosot decorato con stucchi elaborati. Entro scalzo e all’interno trovo una cerimonia buddhista in corso. Mi siedo a terra, in silenzio, ad osservare.
Poco dopo, due ragazze thailandesi ricevono la benedizione da un monaco. La scena è colma di spiritualità, e senza farmi notare scatto qualche foto. Al termine della cerimonia, mi avvicino e mostro loro le immagini. Sorpese ma felici, mi chiedono se posso inviarle. Ci scambiamo i contatti Instagram e mi raccontano che quel giorno erano lì perché era il compleanno di una di loro. Quelle foto sarebbero state per sempre un ricordo speciale. Mi ringraziano inchinandosi con un sorriso radioso, e io faccio lo stesso prima di salutarle.
Alle spalle del tempio incontro una bambina che vende piccoli portachiavi di animali fatti con carta, simili a origami. Ne compro uno, scambio qualche parola con lei, e poi esco.
– Wat Thammikarat: rovine e atmosfera contemplativa –
L’ultima tappa del giro è il Wat Thammikarat.
Un tempio antico del XIV secolo, caratterizzato da una stupa centrale e rovine avvolte nel silenzio. Anche questo sito fu distrutto dai birmani nel 1767, ma conserva ancora oggi un’atmosfera contemplativa, capace di trasportare indietro nel tempo chiunque lo attraversi.
– Fine del tour –
Finito il tour, Mr. Manop mi accompagna alla guesthouse. Lo pago e gli ricordo che la mattina seguente sarebbe dovuto venire a prendermi per portarmi alla stazione dei bus, come pattuito. Lui mi rassicura, dicendomi di non preoccuparmi e di farmi trovare pronto per le 8.30. Lo ringrazio e saluto lui e sua moglie.
Rientro alla guesthouse e chiedo alla proprietaria se il tour in barca sia confermato. Lei mi risponde che mancano ancora un paio di persone e che mi avrebbe fatto sapere entro mezz’ora. Così decido di uscire a mangiare qualcosa, visto che non ho ancora pranzato.
Pranzo veloce su un marciapiede
Qualche isolato più in là vedo un 7-Eleven e ci entro. Prendo un paio di toast da scaldare direttamente al microonde in negozio – comodissimo – e una bibita fresca. Pago e saluto le ragazze sorridenti che lavorano lì. Esco e mi siedo sul marciapiede, proprio davanti, a mangiare tra autobus, macchine che passano e bambini che escono da scuola.
Proprio mentre finisco, mi arriva un messaggio su Instagram: è una delle ragazze a cui avevo scattato le foto nel tempio. Mi chiede se volessi pranzare con loro per ringraziarmi del regalo. Le rispondo che la ringrazio ma non posso, perché aspetto la conferma per il tour in barca. Le scrivo che è stato un piacere aver rallegrato la loro giornata. Lei mi saluta, dicendomi che nel pomeriggio sarebbero partite per Bangkok, dove vivevano.
Finito di mangiare, torno alla guesthouse: la proprietaria mi conferma che il tour si farà. Hanno raggiunto il numero di partecipanti. Ho appena dieci minuti per sistemarmi.
Il giro in barca al tramonto
Alle 15.00 arriva un tuk tuk con altri turisti a bordo. Io e alcuni “residenti” della guesthouse ci uniamo a loro. Dopo un’ulteriore fermata per caricare altra gente, ci ritroviamo un po’ stretti, ma la strada è breve. In meno di dieci minuti arriviamo al fiume, dove ci aspetta la barca. Siamo in totale una ventina di persone.
La prima fermata è al Wat Phanan Choeng.
Costruito nel 1324, prima ancora della fondazione di Ayutthaya, il tempio era legato a rifugiati cinesi. Nel grande vihan si trova un Buddha dorato alto 19 metri (1334), considerato il protettore dei marinai. La statua mi lascia senza parole. Alla fine di un corridoio di legno splendente, scopro anche una bellissima statua di elefante.
Dopo circa mezz’ora torniamo in barca e ci dirigiamo verso un’altra tappa: il Wat Phutthaisawan.
Tempio buddhista di oltre 666 anni, fu costruito nel 1353 dal re Uthong sulla riva occidentale del fiume Chao Phraya come primo monastero reale. È celebre per il suo prang bianco, simbolo del Monte Meru, per il chiostro con i Buddha dorati e per un Wihan che custodisce una magnifica statua del Buddha sdraiato ricoperta da un telo arancione, identico a quello dei monaci. Sopravvissuto alla distruzione del 1767, si conserva ancora in buone condizioni, noto anche per il suo ruolo di fortezza durante l’invasione birmana.
Passeggio tra varie pagode, ne noto una con due statue di serpenti all’esterno. All’interno invece… un nido di pipistrelli, che fortunatamente dormivano.
Torniamo di nuovo in barca. Con il vento in faccia e l’acqua così vicina da poterla toccare con la mano, navighiamo fino all’ultima tappa: il Wat Chaiwatthanaram.
Il suo nome significa “Tempio del lungo regno e dell’era gloriosa”. È una delle maggiori attrazioni di Ayutthaya e senza dubbio uno dei templi più belli della Thailandia. Fu costruito nel 1630, quando il re Prasat Thong usurpò il trono, e inaugurato nel 1649. Venne eretto per commemorare il luogo di nascita della madre del re (o della donna che lo allevò) e per dimostrare i suoi meriti come promotore del buddhismo.
L’area è davvero spettacolare: turisti da ogni parte del mondo osservano estasiati la sua bellezza. Assetato e rimasto senza acqua, esco dal tempio per comprarne una bottiglia e rientro poco dopo.
Mentre torno verso la barca, vedo un gruppo di donne in abiti tradizionali thailandesi. Sembrano festeggiare qualcosa. Mi avvicino a due ragazze per chiedere: mi spiegano che li indossano per delle foto commemorative. Sono eleganti e splendide, così chiedo di scattare una foto con loro. Accettano sorridendo, e dopo averle ringraziate mi avvio verso la sponda del fiume.
Quasi tutti sono già a bordo, così salgo anch’io. Dopo circa venti minuti di navigazione torniamo al punto di partenza, dove i tuk tuk ci aspettano per riportarci alle nostre guesthouse.
Incontro con la viaggiatrice cilena e fine della giornata
Dopo alcune fermate arrivo alla mia. Scende anche una coppia, e sento che la donna parla in spagnolo. Le rivolgo un saluto e ci mettiamo a chiacchierare. Scopro che è un’ex insegnante cilena in pensione, al suo quinto viaggio in solitaria. Mi confida che forse sarà l’ultimo, perché, dice, ormai è anziana. Le chiedo la sua età: 75 anni. Rimango senza parole. Le faccio i complimenti perché se li porta benissimo e, soprattutto, perché ha ancora l’energia e il coraggio di viaggiare da sola. Una donna da ammirare!
Sono felice di questo incontro e le chiedo un selfie. Lo scattiamo e ci scambiamo i numeri di telefono per poterle mandare la foto via WhatsApp. Poi ci salutiamo: lei vuole sistemarsi un po’ e andare a mangiare. (Ancora oggi ci sentiamo costantemente: lei è tornata in Cile e mi scrive che non vede l’ora di tornare a viaggiare :-)).
Io, invece, vado al bar lì vicino e prendo un bicchiere di cioccolato freddo. Buonissimo. Poi torno in stanza per una doccia veloce. Dopo circa un’ora esco di nuovo, pronto per la cena.
Cammino senza meta finché non trovo un ristorante all’aperto frequentato solo da thailandesi. Decido che è il posto giusto. Mi siedo e ordino, mentre faccio una videochiamata ai miei genitori: è il 19 marzo, la festa del papà e anche l’onomastico di mio padre. Gli faccio gli auguri e parliamo un po’, mentre mi arriva la cena: un piatto di chicken fried rice accompagnato da una birra Chang ghiacciata. Ceno con loro, anche se a distanza, condividendo il momento.
Quando la videochiamata finisce, pago il conto, saluto il ragazzo alla cassa e rientro alla guesthouse. Saluto i gattini, mi tolgo le scarpe e salgo al secondo piano per andare in camera. Distrutto ma felice, mi butto sul letto e crollo in un sonno profondo.







































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