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Un viaggio che doveva essere solo una tappa intermedia si è trasformato in una delle esperienze più intense del mio cammino in Thailandia. Dai templi millenari di Sukhothai a una cena indimenticabile in un piccolo ristorante locale, fino ai gesti semplici che scaldano l’anima: questa giornata mi ha insegnato che il viaggio non è solo spostarsi, ma vivere ogni incontro come un dono.
La partenza da Ayutthaya
La sveglia suona presto ad Ayutthaya ed inizia una nuova giornata. Mi aspetta un altro lungo viaggio in bus, verso nord: prima Sukhothai e poi Chiang Mai. In totale, 12 ore di viaggio (6 per tratta).
Esco intorno alle 08.30 per fare colazione al bar del giorno prima, dove mi ero trovato bene: i soliti sandwich e via. Rientro in guesthouse, chiudo lo zaino e proprio in quel momento la proprietaria mi viene a chiamare: c’è un collega di Mr. Manop che mi aspetta per portarmi alla stazione dei bus. Senza alcun contatto telefonico, solo con la parola datami due giorni prima, ottengo il passaggio pattuito, incluso nel prezzo. Ancora una volta il popolo thailandese mi stupisce.
In cinque minuti sono pronto, saluto la proprietaria e i gattini, e vado incontro al tuk tuk. Il ragazzo mi spiega che Mr. Manop non è potuto venire perché aveva un tour, ma che mi manda i suoi saluti. Salgo a bordo e mi godo il fresco del mattino di Ayutthaya.
Dopo una ventina di minuti tra traffico e stradoni enormi, arrivo alla stazione dei bus. Recupero lo zaino, saluto il driver e mi dirigo dentro per fare un piccolo “check-in”, giusto per segnalare la mia presenza. L’autobus arriva con una mezz’ora di ritardo, probabilmente per via del traffico da Bangkok.
Il lungo viaggio in bus verso nord
Sistemo lo zaino nella stiva, salgo al secondo piano e mi accomodo. L’hostess mi porta un sacchetto con una dolce e una bottiglia d’acqua, mentre accanto a me si siede un uomo thailandese che dormirà per tutto il viaggio. Partiamo intorno alle 10.
Dopo un paio d’ore facciamo una sosta in una stazione di servizio all’aperto, con qualche negozio e un paio di ristoranti. Ne approfitto per andare in bagno. Poi risaliamo a bordo e, intorno alle 16.00, arriviamo a Sukhothai.
L’arrivo a Sukhothai e il primo impatto
Appena sceso recupero lo zaino e lo lascio senza esitazioni in mezzo alla stazione per andare in bagno: so che qui nessuno toccherà nulla, e infatti lo ritrovo esattamente dov’era. Dopo una pausa, mi avvicino alla biglietteria per chiedere informazioni. La ragazza mi spiega che c’è un bus notturno per Chiang Mai alle 23.30, con arrivo alle 05.30. Mi dice anche che la biglietteria chiude alle 20.00. La ringrazio e mi allontano.
Intanto, consulto Google Maps e scopro che a Sukhothai c’è un Parco Storico UNESCO, situato a circa 12 km dal centro. Proprio in quel momento si avvicina un tuk tuk: mi chiede se voglio andare in hotel. Gli rispondo che non dormirò lì, ma che vorrei visitare il parco. Il problema è lo zaino grande che non mi va di trascinarmi dietro. Gli chiedo allora se può aspettarmi custodendolo fino alla fine della visita. Lui accetta, ma parte da 500 bath. Dopo un po’ di contrattazione chiudiamo a 400 bath (circa 10 euro): considerando che mi aspetterà per tre ore con il mio zaino, il prezzo è accettabile.
Dopo circa 15 minuti di corsa arriviamo davanti a un negozio di noleggio biciclette: il modo migliore per visitare un parco così grande. Affitto una bici per tre ore a 30 bath (1 euro). Lascio lo zaino al tuk tuk, pago il biglietto d’ingresso (100 bath) ed entro.
La magia del Parco Storico UNESCO
Il Parco Storico di Sukhothai è immenso e bellissimo. Rappresenta le rovine dell’antica capitale del Regno di Sukhothai (fondato nel 1238), considerata la “culla della civiltà thailandese moderna”. Oltre 70 km² di area verde con alberi, stagni e fiori di loto, quasi 200 monumenti storici tra templi, chedi e statue di Buddha. È diviso in cinque zone, con la centrale protetta da mura e fossati.
C’è poca gente e posso godermi il giro in solitaria. Il sole cala regalando colori spettacolari. Al centro un lago, attraversato da un ponte che porta a un isolotto con un grande albero. Silenzio, pace, spiritualità.
Dopo aver esplorato il parco scopro che, a circa due km fuori dalle mura, si trova un tempio importante: il Wat Si Chum. Salto in bici e ci arrivo in un quarto d’ora. Qui c’è più gente. In fondo, all’interno di un wihan quadrato, si trova un enorme Buddha di 10×12 metri, visibile entrando da una fessura stretta. L’impatto è fortissimo: resto lì a contemplare la statua, immerso in un momento di sacralità pura.
Poi continuo verso altre rovine, fino al Wat Sorasak. La chedi principale, a forma di campana, è circondata da decine di elefanti scolpiti. Mi fermo lì, ai piedi del tempio, insieme solo a una famiglia thailandese. Il tramonto colora il cielo e incide quell’immagine dentro di me.
Con l’anima colma di energie positive, riconsegno la bici. Il tuk tuk è ancora lì, con lo zaino esattamente dove l’avevo lasciato. Lo recupero, saluto la signora del noleggio e torno dal driver, che mi riporta alla stazione dei bus verso le 19.00.
La scelta di fermarmi a Sukhothai
Vado alla biglietteria: ci sono ancora posti per il bus delle 23.30, ma decido di non comprare subito il biglietto. Mi siedo su una panchina, accendo una sigaretta e inizio a riflettere. Che senso avrebbe arrivare a Chiang Mai distrutto all’alba, senza nemmeno una doccia? Sono stanco, e voglio riposarmi.
Apro Booking e trovo un ostello vicino alla stazione: un letto a 4 euro. Non ci penso due volte. Decido di fermarmi lì per la notte e prendere il bus la mattina successiva alle 08.15. Una scelta improvvisa, che mi ricorda la vera libertà di viaggiare da solo.
L’ostello spartano ma autentico
Prendo lo zaino e mi dirigo verso l’ostello. La struttura è particolare, una corte aperta con mini appartamenti sparsi lungo il perimetro. Tutto è all’aperto. Al bancone, sistemato direttamente sulla strada, faccio il check-in: una ragazza mi consegna la chiave e mi indica la mia camera, avvertendomi che i bagni e le docce sono in piccole strutture accanto.
Entro nella stanza: ci sono tre letti a castello. Due posti sono già occupati. Una signora francese, sulla sessantina, viaggia da sola; la stessa cosa vale per la seconda coinquilina, una ragazza francese molto più giovane. Scambiamo qualche parola sui nostri itinerari, giusto il tempo di rompere il ghiaccio, mentre tiro fuori dallo zaino solo le poche cose necessarie. Poi decido di andare a fare la doccia.
Esco, mi ritrovo sotto il cielo aperto, percorro pochi passi e raggiungo la stanza delle docce. Finalmente l’acqua fresca lava via il sudore e la stanchezza accumulata durante il giorno. Rientro in camera, mi cambio e mi preparo a uscire per la cena.
La ragazza francese sta per andare via. Le chiedo se conosce un posto dove mangiare, ma anche per lei è la prima notte qui: mi dice che prenderà qualcosa al 7-Eleven. Mi invita a seguirla, ma io ho un’altra idea: voglio un hamburger. Ci salutiamo con un sorriso e ognuno prende la propria strada.
La ricerca di un hamburger e l’imprevisto
Accendo Google Maps, digito “hamburger” e spunta un furgoncino a circa due chilometri. Prenoto un Grab motorbike che in pochi minuti arriva. Durante il tragitto noto diversi cani randagi: mi segno mentalmente che per il ritorno userò di nuovo Grab.
Arrivati sul posto, però, il furgoncino non c’è. Chiedo al driver se ha sbagliato strada. Insieme ricontrolliamo Maps, ma era proprio lì: semplicemente, il furgone non è sempre presente. Il driver, gentile, mi chiede se deve portarmi altrove. Non sapendo cosa rispondere, gli dico che proseguirò a piedi. Lo ringrazio, ci salutiamo e mi lascia con un sorriso.
Mi ritrovo su uno stradone immenso, semi-deserto. Solo un cane randagio in lontananza. Vedo dall’altra parte un ristorante e provo ad avvicinarmi: sta chiudendo, nonostante siano appena le 20:30. Continuo a camminare, già pronto ad arrendermi al 7-Eleven che intravedo in fondo, quando scorgo un piccolo banchetto davanti a un palazzo.
La scoperta di un ristorante locale
Mi avvicino. Dietro al banchetto si apre un grande stanzone illuminato, pieno di tavoli e sedie in legno, un ristorantino locale a conduzione familiare. Probabilmente la famiglia vive proprio al piano di sopra. Sul banchetto vedo il menù, tutto scritto in thailandese ma con immagini dei piatti. Una signora anziana, una delle cuoche, mi invita a entrare.
Mi siedo in fondo alla sala. Attorno a me ci sono solo thailandesi: il segnale che sono finito nel posto giusto. Scelgo di ordinare un Pad Thai, un Pad Krapow Gai (pollo tritato con basilico santo, aglio, peperoncino, verdure e uovo fritto su riso bianco) e una zuppa di pollo con erbe fresche.
Il locale è pieno, ma tranquillo. Nessun vociare, solo un’atmosfera serena. Alcuni mangiano soli, altri in famiglia, accanto a me una giovane coppia. Qui, a differenza delle grandi città, vedo che usano molto di più le bacchette per mangiare. Io le adoro, e non perdo occasione di usarle, come faccio sempre qui.
Il miglior Pad Thai della Thailandia
Dopo una decina di minuti arriva il Pad Thai. Gli spruzzo qualche goccia di lime, afferro le bacchette e assaggio. È incredibile: il migliore che abbia mai mangiato in Thailandia. Lo gusto lentamente, come se non volessi finirlo. Poco dopo arrivano anche il Pad Krapow Gai e la zuppa: entrambi deliziosi.
Al momento del conto non credo ai miei occhi: 80 bath (circa 2 euro) per due piatti e una bibita. Ringrazio la ragazza che mi serve e chiedo di poter parlare con la signora anziana. Voglio farle i complimenti. Lei arriva, ma non parla inglese. Apro Google Translate e scrivo: “È stato il miglior Pad Thai che ho mangiato in Thailandia”. Lei mi ringrazia con un sorriso enorme, pieno di gratitudine e felicità. Ci salutiamo con il gesto delle mani al petto e un leggero inchino. Ricambio, col cuore colmo di calore.
I bar e il ponte sul fiume Mae Nam Yom
Esco e riprendo a camminare verso il ponte che vedo in fondo alla strada. Passo accanto a un paio di bar dove ci sono solo thailandesi che chiacchierano e bevono in serenità. Prima di arrivare al ponte, una ragazza cade dal motorino, scivolando sulla polvere. Subito la gente del bar accorre per aiutarla, io faccio lo stesso. Fortunatamente sta bene, solo un colpo al ginocchio. Riparte poco dopo, sorridendo.
Arrivo al ponte e mi affaccio: sotto scorre il Mae Nam Yom, il fiume che taglia la città. I pali della luce che costeggiano il ponte sono decorati da teste di elefante. Resto lì qualche minuto, respirando quell’atmosfera sospesa, poi torno indietro.
Entro in un 7-Eleven, compro qualcosa per la colazione del giorno dopo e chiamo un Grab. Questa volta arriva una macchina. Qualche minuto ed eccomi di nuovo all’ostello.
Il rientro in ostello e il silenzio della notte
Prima di rientrare mi fermo davanti alla stazione dei bus a fumare una sigaretta. La stazione è vuota ma luminosa, silenziosa e calma. Un’auto passa a prendere una ragazza appena scesa dall’ultimo bus. Poco più in là, un gruppetto di ragazzini ride e chiacchiera. Sento la pace. (Mentre scrivo ora, rivivo quei momenti e mi vengono i brividi).
Finisco la sigaretta e rientro nella corte dell’ostello, camminando piano verso la mia camera. Apro la porta con cautela, cercando di non fare rumore, ed entro in punta di piedi. Prendo il beauty case e mi dirigo in bagno per lavarmi i denti. Al mio ritorno, prima di varcare la soglia, mi tolgo le scarpe e le lascio fuori, sul patio, un piccolo rito di rispetto e silenzio.
Dentro, la signora francese dorme già profondamente. La ragazza invece è ancora sveglia, distesa sul letto con il telefono in mano. Le sussurro “salut, ça va?”. Lei solleva lo sguardo, mi sorride e mi risponde che va tutto bene. Poi lo chiede a me, e io replico allo stesso modo. Non possiamo parlare a lungo, per non disturbare chi riposa. Così ci limitiamo a scambiarci un cenno complice e una buonanotte sommessa, semplice e delicata, come un filo di voce che resta sospeso nell’aria.
Frammenti di viaggio, frammenti di vita
Mi sdraio nel mio letto, tiro la tendina. Il materasso è comodo, la stanchezza inizia a sciogliersi. Guardo per qualche secondo la rete del letto sopra di me e la mia mente comincia a ripercorrere tutta la giornata: il bus, l’imprevista sosta a Sukhothai, il Parco storico, il driver del tuk-tuk che mi ha fatto trovare lo zaino intatto, l’ostello spartano, pulito e organizzato da 4 euro, la cena deliziosa da 2 euro, la ragazza caduta dal motorino e le persone che subito le hanno dato una mano, la sigaretta davanti alla stazione deserta, i piccoli scambi con sconosciuti che diventano momenti preziosi.
Tutti questi frammenti mi riempiono dentro. I miei occhi stanno vedendo cose bellissime, la mia mente costruisce ricordi indelebili. Ma è la mia anima che si nutre di emozioni, sensazioni e vibrazioni positive. E piano piano, questi incontri, questi gesti semplici, stanno cambiando il mio modo di vivere la vita.
Telefono in modalità aereo. Buonanotte.
















































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