Alla scoperta di Pai: tra colline, silenzi e luoghi fuori dal tempo: Capitolo 17
7–11 minuti

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Lasciare Chiang Mai non è solo cambiare luogo, ma chiudere un capitolo per aprirne un altro. Il viaggio verso Pai, tra curve infinite e montagne avvolte nel verde, è un lento abbandonarsi alla quiete del nord, dove il tempo sembra fermarsi.

L’addio a Chiang Mai

Inizia una nuova giornata a Chiang Mai. È arrivato il momento di salutarla, con quel misto di malinconia e curiosità che accompagna ogni nuova partenza. Oggi sono diretto a Pai, un piccolo villaggio immerso tra le montagne del nord.

Faccio colazione con calma, poi chiudo lo zaino. Il rumore della zip che si chiude segna, come sempre, la fine di un capitolo e l’inizio di un altro.
Esco in strada e prenoto un Grab per raggiungere la stazione dei bus. Attraverso il traffico mattutino di Chiang Mai: motorini, bancarelle, profumo di cibo che sale dall’asfalto già caldo. Dopo circa mezz’ora, arrivo.

Mi dirigo verso la fermata per Pai. C’è già qualcuno ad aspettare, con lo stesso sguardo curioso dei viaggiatori che non sanno ancora cosa li aspetta.
Dopo poco arriva il mezzo: un minivan da nove posti, identico a quelli che ormai conosco bene. Il driver sistema i bagagli, chiude il portellone e si parte intorno alle 11:00.

Tra le curve verso Pai

Mi aspettano tre ore di curve e salite, immerse nel verde. Mi accomodo sul sedile e guardo fuori. La città scompare presto, lasciando spazio a colline, villaggi e strade che sembrano non finire mai.

Dopo circa un’ora e mezza ci fermiamo in mezzo al nulla, in una piccola area con quattro o cinque ristoranti all’aperto, un banco di frutta e i servizi igienici. L’aria profuma di libertà. Restiamo lì una mezz’ora, poi si riparte.

Dopo un’altra ora e mezza di tornanti, il minivan si ferma. Siamo arrivati a Pai.
Il villaggio è minuscolo. La “stazione” è un semplice parcheggio incastrato tra le strette vie del centro. Appena metto piede a terra, il sole picchia fortissimo, saranno almeno quaranta gradi.

Intorno a me una piccola folla di driver di tuk tuk aspetta i nuovi arrivati, ognuno pronto a proporsi. Io, come al solito, non ho ancora prenotato un posto dove dormire. Rifiuto gentilmente, mentre il parcheggio si svuota poco a poco.

Lascio lo zaino accanto a una panchina, entro un momento in bagno per rinfrescarmi il viso, poi mi siedo a cercare qualcosa su Booking.
Tra le varie opzioni, un nome cattura la mia attenzione: un bungalow immerso nella natura, su una collina a un paio di chilometri da lì. Mi piace l’idea. Prenoto subito.

Apro l’app di Grab per farmi portare, ma nessun veicolo disponibile.
Scopro così che Pai non è servita da Grab. Nessun problema: apro Bolt. Ci sono pochissime auto in zona, ma una è libera.
La prenoto e aspetto qualche minuto finché arriva il driver, che mi fa salire a bordo.

Un bungalow fuori dal tempo

Durante il tragitto la strada si fa sempre più sterrata e silenziosa. Quando siamo quasi arrivati, l’autista non capisce dove si trovi la struttura.
Nessuna insegna, solo alberi e una strada senza uscita che si perde nella vegetazione. Dopo qualche esitazione, decido di scendere. Prendo lo zaino e proseguo a piedi.

Cammino sotto il sole, in una stradina semivuota, con poche case e una piccola struttura ricettiva sul lato opposto. Seguo la mappa di Google Maps, ma il punto indicato come arrivo corrisponde a quella che sembra un’abitazione privata.

Resto qualche istante a guardarla, incerto. Poi continuo a camminare, sperando di trovare un cartello o un’indicazione, ma non c’è nulla.
Alla fine torno indietro e decido di entrare.

Attraverso un cortile dissestato, salgo una scala di legno e mi ritrovo dentro una stanza che sembra uscita da un’altra epoca: pavimento in legno compensato, un tavolo al centro, un fornello a gas con le bombole per terra, un microonde, un doppio lavello e mura fatte con le canne di bambù.

Sull’altro lato, una coppia di ragazzi parla con una signora che affetta un mango con un piccolo machete. Quando i ragazzi finiscono di parlare, la donna mi guarda, mi sorride e mi chiede se ho prenotato.
Solo in quel momento capisco di essere nella reception.

La signora posa il coltello, prende un telefono e un quaderno, controlla la mia prenotazione, la trova e mi chiede il passaporto.
Concluso questo check-in così insolito, mi offre del mango fresco, mi consegna le chiavi e mi indica il mio bungalow.

Mangio un pezzo di mango, la ringrazio e mi incammino.
Il bungalow è semplice, costruito con quattro mura in cemento e un tetto di lamiera ondulata in metallo. Fuori c’è un piccolo patio immerso nel verde, e intorno solo silenzio e natura incontaminata.

Entro in camera: spartana e piccola, con un letto coperto da una zanzariera sospesa, un tavolino, un ventilatore e un piccolo bagno separato da una porta.
Poso lo zaino, esco sul patio, accendo una sigaretta e mi lascio avvolgere dal silenzio della natura, mentre un leggero venticello muove le foglie e il tempo sembra fermarsi.

Alla scoperta di Pai

Goduto questo momento di relax e pace, prendo il mio zaino più piccolo, chiudo la stanza ed esco per andare ad esplorare. Mi ritrovo sulla stessa stradina sterrata, il sole alto, il canto degli uccelli in lontananza. Apro Google Maps e noto che posso arrivare a piedi fino al centro del villaggio, scendendo da una strada che passa dall’altro lato della collina, dove non circolano auto. Senza pensarci troppo, mi incammino per quella direzione.

Passo accanto a poche abitazioni, poi mi trovo immerso in una campagna sconfinata. La vista è spettacolare. In fondo, una contadina con un cappello enorme in testa per proteggersi dal sole trascina un carretto lentamente, mentre tutto intorno regna un silenzio quasi surreale. Poco più avanti, una piantagione di mais mi accompagna fino a un’altra strada dove spuntano villette e piccoli resort, con giardini ordinati e curati.

Alla fine della strada c’è un ponte di legno e bambù che attraversa il fiume omonimo, il Pai River, che delimita la parte centrale del villaggio sul lato est. Attraverso senza esitazioni quel ponte, apparentemente fragile, e mi ritrovo nel cuore di Pai.

Le strade sono semi deserte, probabilmente per l’ora — sono le 15:30 — e il sole picchia forte. Camminando senza meta, inizio a scoprire questo piccolo villaggio di montagna. Visito il Wat Pa Kham, un tempio completamente dorato che si trova proprio in centro. Subito accanto, una stradina attira la mia attenzione: ci sono piccoli ristoranti ricavati nelle abitazioni, semplici ma accoglienti.

Mi rendo conto di non aver ancora pranzato, quindi mi siedo a un tavolino di un ristorante e ordino riso fritto con verdure e uova strapazzate. La stradina è tranquilla, solo qualche locale passa in motorino. Mentre aspetto il piatto, un cartello curioso attira il mio sguardo: vietato parcheggiare dopo le 4 del pomeriggio, con accanto l’immagine di una vigilessa che ringrazia con un wai. Mi strappa un sorriso. Dopo pochi minuti arriva il piatto — buonissimo. Lo gusto con calma, poi pago, ringrazio e torno in strada.

Faccio un altro giro per il villaggio fino ad arrivare al Wat Luang, costruito nel 1803, un tempio in stile tradizionale Shan, influenzato dall’etnia della regione. C’è una grande statua dorata del Buddha, diverse stupa e quattro statue di Singha che difendono gli angoli del complesso. Dentro non c’è nessuno, solo io, e il silenzio rende il momento quasi sospeso.

Il mercato locale e la vita quotidiana

Esco dal tempio e continuo a camminare senza una meta precisa. Mi ritrovo in una stradina dove ci sono banchi con prodotti locali. Uno di questi espone pesci freschi chiusi in confezioni di polistirolo avvolte nella pellicola trasparente. Non c’è nessun frigorifero, e mi domando se sia davvero sicuro conservarli così. Poco più avanti trovo invece un piccolo mercato locale dove ci sono solo thailandesi.

È uno di quei posti che mi piacciono tanto, lontano dai turisti, dove puoi osservare la vita quotidiana della gente del posto. Faccio un giro tra le bancarelle: nessuno grida, nessuno si affanna. L’atmosfera è rilassata, i prodotti sono curiosi, molti mai visti prima. È uno di quei momenti che ti fanno sentire davvero in viaggio, presente, parte del luogo.

Il mercato è piccolo, così dopo un po’ mi ritrovo di nuovo fuori. Continuo a camminare fino a raggiungere il palazzo comunale di Pai, una costruzione moderna circondata da alberi di ciliegio in fiore. Più avanti la strada si restringe e mi ritrovo tra le case dei locali, nessun turista nei paraggi. Alcune signore anziane sono sedute fuori casa, chiacchierano. Poco più avanti, un parrucchiere lavora dentro quello che sembra un garage adattato a salone, e lo stesso vale per un barbiere dall’altra parte della strada. Ci sono anche carrettini che vendono cibo: puoi sederti su piccole sedie di plastica oppure portare via quello che prendi. I prezzi sono bassissimi, segno che qui, in questa zona, il turismo non ha ancora cambiato le abitudini.

Alla ricerca di una bicicletta e una nuova avventura su due ruote

A un certo punto apro Google Maps per vedere cos’altro posso visitare. Scopro che le altre attrazioni principali — come il Canyon di Pai o altri templi — si trovano fuori città. Ma non sapendo guidare lo scooter, controllo sull’app di Bolt, ma le auto risultano sempre occupate. Inizio a pensare che dovrò accontentarmi di una bicicletta, quindi cerco qualcuno che le affitti.

Su Google Maps trovo un negozio poco distante e mi avvio. Dopo qualche minuto arrivo davanti a un cancello aperto, con dentro un’abitazione dal prato poco curato. Sembra una casa abbandonata, ma vedo tante bici sparse qua e là. Mi affaccio, urlo un paio di volte “Hello!”, ma nessuno risponde. Salgo una scala di legno che porta al piano superiore, la porta è aperta, entro… nessuno. Scendo di nuovo ed esco dal cancello.

Chiedo a un signore che abita di fronte se conosce il proprietario, e lui mi dice che lo conosce ed ora non c’è, ma non è sicuro che l’attività sia ancora aperta. Lo ringrazio e proseguo. Non mollo, decido di cercare un altro negozio. Su Google Maps ne trovo uno dall’altra parte del villaggio, quindi mi incammino e, lungo la strada, prelevo anche un po’ di baht.

Dopo circa venti minuti arrivo davanti al negozio. È una piccola bottega che vende un po’ di tutto, ma tra le varie cose affitta anche bici. Parlo con una ragazza che mi mostra i modelli disponibili e mi dice che 24 ore costano 80 baht, con 1000 baht di cauzione. Accetto subito — non ho molta scelta se voglio esplorare i dintorni.

La bici è in buone condizioni, ma senza pedalata assistita. Mi aspetta un’avventura che nemmeno immaginavo.
Salto in sella e inizio a pedalare.

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sono Vittorio

e ho deciso di raccontare il mio viaggio in solitaria attraverso l’Asia, zaino in spalla e spirito d’avventura.

Dopo anni di lavoro tra uffici e, di tanto in tanto, in giro per il mondo, ho sentito il bisogno di ritrovare un po’ me stesso. Così, nel 2025, ho preso un volo e ho attraversato Singapore, Malesia e Thailandia in un mese.

Questo blog nasce per condividere emozioni, errori, scoperte e ispirazioni.

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