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Una giornata iniziata in sella a una bici, tra colline e silenzio, si trasforma in un’esperienza che va oltre il viaggio. Tra la pace del White Buddha, le luci del villaggio e un incontro inaspettato nel cuore della notte, scopro che anche nel momento di maggiore smarrimento può nascere qualcosa di straordinario.
Tra le colline di Pai
Inizio a pedalare in direzione sud. La strada è lunga e in salita, e ogni curva mi allontana sempre un po’ di più dal centro del villaggio. L’obiettivo è arrivare a un bar panoramico, di cui ho letto che offre una vista straordinaria.
La salita si fa sentire nelle gambe, ma dopo una buona dose di fatica — e circa venti minuti di pedalata — arrivo finalmente al bar. Purtroppo è chiuso. Rimane solo il silenzio, il vento e la mia ombra sul cemento. Mi avvicino comunque al bordo e mi godo la vista spettacolare: colline verdi a perdita d’occhio, un orizzonte che sembra sospeso tra il cielo e la giungla.
Resto qualche minuto ad assorbire quel panorama, poi decido di continuare a pedalare lungo la stessa strada. Ancora salite, ancora discese. L’aria è fresca e profuma di natura. Dopo un po’ arrivo al Wat Mai Huai Sai, dove si erge il White Buddha, una grande statua bianca che domina la valle.
Il silenzio del White Buddha
È un posto davvero fantastico, immerso nella pace più assoluta. Non c’è nessuno, solo il canto lontano di qualche uccello e il fruscio del vento. Costeggio la statua passando su un ponte decorato con due draghi ai lati, e arrivo alla strada posteriore, dove si trova un piccolo complesso abitativo di monaci buddhisti. C’è anche un cane che non sembra molto amichevole: mi fissa, ringhia, abbaia, ma poi si allontana.
Il sole inizia lentamente a scendere dietro le colline, tingendo tutto di arancio e oro. Decido di rimettermi in sella e tornare verso Pai. Prendo una strada interna, quella che passa alle spalle della statua del White Buddha. È sterrata, ma percorribile, e dopo qualche centinaio di metri mi ritrovo letteralmente in mezzo al nulla. Una casa che sembra abbandonata e poi solo la natura e, in lontananza, alcuni cani che iniziano ad abbaiare.
Non voglio rischiare, così torno indietro e mi rimetto sulla strada principale percorsa all’andata. Tra salite e discese, la fatica si fa sentire tutta. Faccio una breve pausa a metà strada, respiro profondamente, bevo un po’ d’acqua. Poi riprendo a pedalare, lentamente, fino a quando le prime luci di Pai ricompaiono in fondo alla valle.
Il ritorno a Pai
Sono stremato. Decido che è meglio restituire la bici già in serata, piuttosto che tenerla fino al giorno successivo. Così, dopo un po’, raggiungo il negozio dove ero stato poche ore prima. La ragazza mi guarda sorpresa: non si aspettava certo di vedermi tornare così presto. Le spiego il tragitto che ho fatto, le salite, il White Buddha, e che sono davvero esausto. Lei sorride, controlla la bici e mi restituisce la caparra di 1000 baht.
La saluto con un cenno, poi mi incammino a piedi verso il centro del villaggio, mentre la luce del tramonto si spegne lentamente tra le colline di Pai.
Rispetto al pomeriggio, quando avevo visto una Pai quasi deserta, di sera il villaggio sembra rinascere. Le strade si animano, i locali iniziano a riempirsi e le luci colorate si accendono, regalandomi una nuova immagine del luogo: una Pai notturna, viva e accogliente.
Passeggio lentamente per il centro, tra bancarelle e piccoli negozi di artigianato. Compro qualche calamita da attaccare al frigo di casa, un piccolo ricordo di questo angolo di mondo. Poi inizio ad avere fame.
Una pizza in Thailandia
Tra le tante bancarelle di street food e ristoranti locali, mi allontano un po’ dal cuore del villaggio e mi imbatto in una pizzeria italiana. Non avevo intenzione di mangiare pizza, ma la curiosità di assaggiarne una in Thailandia è più forte di me. Entro e mi siedo.
Arriva un cameriere gentile. Gli chiedo se il proprietario è italiano. Mi risponde di sì, ma che al momento non è presente. Così ordino una margherita con prosciutto. Quando arriva, non è proprio come me la immaginavo, ma poi mi ricordo dove sono: sono in Thailandia, e questo basta a farmela andare bene. Mangio con calma, recuperando un po’ di energie dopo la giornata in bici. Quando finisco, pago e mi rimetto in cammino.
La vita notturna di Pai
Tornando verso il centro, noto che Pai è ormai piena di gente, per lo più turisti americani e inglesi. I bar e i ristoranti sono affollati, la musica risuona ovunque, ma non c’è confusione. C’è una vivacità rilassata, un’armonia tra festa e tranquillità che sembra il tratto distintivo di questo luogo.
Camminando, passo davanti a una bancarella di street food che cattura la mia attenzione. Sul bancone vedo piatti colorati di ortaggi, pollo marinato e riso blu e giallo, accostato a farro e ceci. Mi fermo, incuriosito. Chiedo alla ragazza cosa siano quei colori così intensi. Lei sorride e mi spiega che il blu del riso è ottenuto dai fiori freschi di Clitoria ternatea, mentre il giallo proviene dalla curcuma.
Poi mi chiede se voglio assaggiarne un piatto. Le dico di no, che sono già sazio perché ho appena cenato. Allora, vedendomi incuriosito, mi offre comunque un cucchiaio di riso blu. Accetto volentieri. Il sapore è delicato, naturale, e il colore non lo altera affatto. Rimango colpito più dal gesto che dal gusto: la gentilezza spontanea di quella ragazza mi scalda il cuore. La ringrazio, lei mi sorride, e io proseguo per la mia strada.
Continuo a camminare tra luci, profumi e suoni, lasciandomi avvolgere dall’atmosfera unica della notte di Pai. Vagando senza meta, mi ritrovo davanti a una moschea, la Al-Israa Masjid. Rimango sorpreso: una moschea nel cuore della Thailandia del nord, in un paese a maggioranza buddhista.
Chiedo informazioni a un local che si trova lì vicino. Mi racconta che questa moschea non è solo un luogo di preghiera, ma anche un simbolo dell’integrazione musulmana nella cultura thailandese, con radici storiche legate alle migrazioni bengalesi e pakistane avvenute nel corso del tempo.
Riprendo il cammino e incontro altre bancarelle, questa volta di frutta e dolci. Mi fermo davanti a un banchetto dove un uomo prepara roti con Nutella. Non resisto e ne ordino uno. Mi siedo sul marciapiede, proprio fuori da un 7-Eleven, e lo mangio con calma. È squisito.
Intorno a me, un gruppo di turisti americani chiacchiera animatamente, mentre qualche cane randagio gira tranquillo tra la gente. È un’immagine semplice, ma perfetta.
Quando finisco di mangiare, decido di tornare al bungalow. Sono quasi le 23:00, e la stanchezza della giornata si fa sentire tutta. Apro l’app e trovo una macchina con Bolt: è la stessa che mi aveva accompagnato nel pomeriggio. In meno di dieci minuti arrivo a destinazione.
È tutto buio, fatico a trovare l’ingresso, ma alla fine lo vedo e rientro nella struttura.
Il rientro al bungalow
Una volta dentro il bungalow, poso lo zainetto ed entro in bagno. Mentre mi sciacquo le mani, noto qualcosa che si muove sul pavimento. Mi blocco.
Sono due grandi scarafaggi che si aggirano tra il WC e la doccia, che è tutto un ambiente. Cerco di scacciarli, ma non vanno via, non sembrano affatto spaventati dalla mia presenza.
Mi viene subito in mente l’immagine di ritrovarmeli nel letto, nonostante la zanzariera, e per un attimo penso di cambiare struttura.
Poi guardo l’orario: è tardi e sono stanco morto. Riprovo a tornare in bagno, sperando che se ne siano andati, ma sono ancora lì.
Non ho paura, ma l’idea di addormentarmi con quegli insetti che girano in camera, e magari potermeli ritrovare nel letto, mi mette una preoccupazione difficile da gestire.
La fuga dagli scarafaggi e la paura dei cani randagi
Apro l’app di Booking, cercando una sistemazione nelle vicinanze, ma non trovo nulla. Le strutture disponibili sono solo in centro.
Provo allora con Bolt, ma non ci sono più macchine a quest’ora. E non me la sento di affrontare altri due chilometri a piedi, con lo zaino addosso, nel buio completo.
In più, la maggior parte degli hotel accetta il check-in solo fino a mezzanotte. Mancano appena quindici minuti.
Resto qualche secondo fermo, indeciso, poi la sensazione di disagio prevale sulla stanchezza. Chiudo lo zaino, lo indosso, mi chiudo la porta alle spalle ed esco.
Fuori, il buio è totale. Non passa nessuno, non c’è rumore, solo il frinire degli insetti e il battito del mio cuore.
Mi rendo conto che non ho più un posto dove dormire, ma stranamente sento dentro di me un buon presentimento.
Mi incammino lungo la strada sterrata che avevo percorso nel pomeriggio, per tagliare verso il centro, ma dopo pochi passi sento dei cani abbaiare in lontananza.
Il buio è pesto e non voglio rischiare, così torno indietro e prendo la strada principale, quella percorsa in auto. E’ tipo una delle nostre strade provinciali, senza marciapiede.
Cammino con la torcia del telefono accesa, il peso dello zaino sulle spalle e la fatica che si fa sentire.
Dopo un centinaio di metri scorgo un bar ancora aperto, con qualche persona all’interno. Solo gente del posto.
Proseguo, la strada scende, poi curva dopo curva capisco che il centro è ancora lontano.
Metto sulla bilancia la paura di ritrovarmi gli scarafaggi nel letto da una parte e la prospettiva di camminare per chilometri nel buio, da solo, dall’altra.
Alla fine, decido di tornare indietro.
Mi giro e vedo due cani che mi abbaiano contro e si avvicinano.
Il cuore accelera. Alla mia sinistra c’è una salita, mi ci butto di corsa, stringendo le corde dello zaino e ansimando.
Alla fine della salita trovo l’ingresso di un resort. È tutto spento, non so se stiano dormendo o se sia un luogo abbandonato.
Per un attimo penso persino di dormire nel giardino, vicino a qualche cespuglio, ma poi immagino i cani che potrebbero tornare e decido di scendere di nuovo sulla strada.
Mi affaccio con cautela. I cani non ci sono più.
Un incontro che sa di umanità
Riprendo in mano il telefono, apro Google Maps e cerco di capire dove andare.
In quel momento, da lontano, vedo arrivare un motorino con una ragazza alla guida.
Alzo lo sguardo, lei mi vede, rallenta. D’istinto alzo le braccia, chiedendo aiuto.
La ragazza si gira, torna indietro e si ferma accanto a me.
Mi chiede, stupita, cosa ci facessi lì a quell’ora, con lo zaino sulle spalle.
Le racconto tutto: gli scarafaggi, il bungalow, la ricerca di un posto per dormire.
Lei mi ascolta, poi mi dice che un suo amico lavora in un hotel dall’altra parte della città e mi chiede se voglio andarci.
Accetto subito. Lei lo chiama, parla qualche minuto e poi mi dice che c’è una camera libera, 12 euro a notte.
Accetto senza esitazioni.
Le chiedo il nome dell’hotel per poterlo cercare su Google Maps, ma lei scuote la testa e dice:
— “È lontano, quattro chilometri. E ci sono cani randagi in giro. Ti accompagno io.”
Resto sorpreso. Una ragazza giovanissima che offre un passaggio a uno sconosciuto nel cuore della notte.
Nel nostro mondo una cosa del genere sarebbe impensabile.
Provo a dirle che non è necessario, ma lei insiste.
Accetto, e insieme sistemiamo gli zaini: quello piccolo tra le sue gambe, quello grande sulle mie spalle.
Mi stringo le cinghie dello zaino con forza e salgo dietro di lei.
Partiamo piano. L’aria fresca della notte mi accarezza il viso.
Durante il tragitto scambiamo qualche parola: scopro che ha solo 17 anni, e mi colpisce la naturalezza con cui mi ha aiutato, senza un briciolo di paura. Mi racconta che stava andando a casa, ma quando mi ha visto in difficoltà ha deciso di fermarsi per aiutarmi.
Dopo una decina di minuti arriviamo davanti all’hotel, sulla strada che avevo percorso in bici il pomeriggio, appena fuori Pai.
Entriamo. Alla reception c’è il suo amico, che ci accoglie con un sorriso.
Lei compila un modulo e mostra il suo documento, dal quale mi accorgo che ha davvero 17 anni. Solo dopo capisco che ha fatto il check-in al mio posto. Non riesco a capire il motivo.
La accompagno all’uscita, la ringrazio sinceramente.
Lei mi guarda, sorride e dice:
— “Don’t worry, welcome to Pai.”
Quelle parole mi toccano dentro.
Sento gli occhi riempirsi di lacrime, sopraffatto da un’emozione pura.
Capisco ancora una volta che questo popolo non ha dimenticato l’umanità, l’accoglienza, la gentilezza autentica.
La ragazza monta in sella, mi saluta con il suo sorriso thai e scompare nella notte.
Io resto lì, grato e felice.
La fine di una giornata indimenticabile
Rientro in hotel. Il suo amico mi accompagna in camera.
Appoggio lo zaino, mi butto sotto la doccia e poi sul letto, stremato.
Ripenso alla giornata: il viaggio in minivan tra le 762 curve da Chiang Mai a Pai, l’esplorazione del villaggio, la fatica in bici, la fuga dagli scarafaggi, i cani, e infine l’incontro che ha cambiato tutto.
Prima di addormentarmi, mi torna in mente quel buon presentimento che avevo sentito uscendo dal bungalow.
Adesso so cosa voleva dire: quel presentimento aveva il volto di una giovanissima ragazza in motorino.
Pieno di gratitudine e felicità, mi abbandono al sonno, mentre fuori Pai sprofonda nel silenzio della notte.





































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