Tra pioggia, paura e Pad Thai: arrivo a Bangkok: Capitolo 7
9–13 minuti

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Risveglio al trentaduesimo piano e i contrasti di Kuala Lumpur

Suona la sveglia.
Al trentaduesimo piano della torre in cui alloggio a Kuala Lumpur, il silenzio della stanza viene interrotto dal suono insistente del telefono. Mi stiracchio lentamente. Fuori dalla grande finestra, la città sembra ancora incerta sul da farsi: nuvole gonfie si accumulano sopra i grattacieli, come se stessero prendendo tempo prima di decidere se lasciare cadere o meno la pioggia.

Faccio colazione con le cose comprate il giorno prima al 7-Eleven, nel solito stile improvvisato da viaggiatore: qualcosa di dolce, un caffè pronto e un po’ di frutta confezionata. Poi doccia, sistemazione delle ultime cose, e lo zaino è di nuovo pronto. Chiudo la porta dietro di me, con quella leggera malinconia che accompagna ogni partenza.

Scendo al piano terra. È mezzogiorno. Il volo per la prossima tappa è previsto per le 17:30. Potrei spingermi fino a Bukit Bintang per un ultimo sguardo al cuore commerciale della città, oppure restare nei dintorni, esplorando un po’ a caso. Scelgo la seconda opzione.

Mi incammino nei pressi della torre, e camminando osservo il contrasto che Kuala Lumpur non si preoccupa minimamente di nascondere: oltre a questa torre e a un paio di altri grattacieli moderni, tutto intorno ci sono case basse, palazzi vissuti, in condizioni spesso precarie. Sembrano resistere sotto l’ombra dei giganti di vetro e acciaio. Qui vive gente semplice, umile. La distanza tra il lusso delle torri e la realtà quotidiana delle strade circostanti è netta, quasi spiazzante.

Il caldo è soffocante, l’umidità appiccicosa, e ora comincia anche a piovere. Kuala Lumpur mi saluta così, con la sua atmosfera densa, carica e viva. Ritorno nella hall della torre. Decido che è il momento di andare in aeroportoChiamo un Grab, mi siedo su una poltrona in attesa, mentre l’aria condizionata mi avvolge e mi rinfresca. Finalmente un momento di pausa.

La gentilezza inattesa di una sconosciuta

Di fronte a me prende posto una famiglia asiatica: madre, padre e due figlie, entrambe giovani. Una delle due ragazze mi osserva, poi mi sorride. Si alza e viene verso di me con passo timido ma deciso. Mi chiede, in un inglese semplice ma chiaro, da dove venissi. Scambiamo qualche parola. È indonesiana – mi racconta che ha trascorso qualche giorno di vacanza con la famiglia e ora stanno tornando a casa.

Poi, con una gentilezza che mi disarma e un sorriso sincero, mi chiede se possiamo fare una foto insieme.
Sorrido anch’io. È una scena che ormai riconosco: mi è capitato in Giappone, in Thailandia, in Vietnam, in Cambogia. Uomini, donne, ragazzi: chi mi chiede una foto lo fa sempre con quella curiosità un po’ infantile, disarmante. È un gesto semplice, ma che un europeo difficilmente riesce a interpretare subito.

Accetto volentieri. Scattiamo un paio di foto insieme, e intanto dentro di me riaffiora quel pensiero che mi accompagna da tempo: forse, per loro, rappresentiamo qualcosa di diverso. Diversità nell’aspetto, certo, ma anche qualcosa di più: un’immagine di modernità, di libertà, forse perfino di sogno.

È un piccolo gesto che non fa male a nessuno, anzi. Per un attimo si abbattono distanze immense.
Sento una serenità intima, quella che nasce quando ci si riconosce, al di là della lingua o della cultura. In quell’abbraccio fotografico fra due mondi così lontani c’è un momento di pace, di connessione. E di gratitudine reciproca.

Un addio bagnato a Kuala Lumpur

Dopo un po’, arriva il mio Grab. Carico lo zaino nel portabagagli e salgo a bordo. Direzione: aeroporto internazionale di Kuala Lumpur.

Durante il tragitto, che dura circa un’ora, inizia a diluviare. La pioggia è così intensa che il parabrezza sembra una parete bianca e il conducente è costretto a rallentare drasticamente: non si riesce nemmeno a vedere la strada. Kuala Lumpur scivola via sotto un cielo gonfio d’acqua, mentre io, seduto sul sedile posteriore, guardo fuori come ipnotizzato da quel muro di pioggia.

Arrivato in aeroporto, ringrazio il tassista e mi dirigo verso il terminal per effettuare il check-in. Mi aspetta un volo per Bangkok. Una ragazza sorridente, che lavora per AirAsia, mi accoglie e mi spiega che devo fare il self check-in. Dopo qualche minuto di smanettamenti tra touchscreen e codici, riesco finalmente a completare l’operazione.

Un aeroporto in stile centro commerciale

Ho ancora un paio d’ore prima del volo, così decido di fare un giro per l’aeroporto. È una struttura moderna e piena di vita, con negozi, ristoranti, profumi e lingue diverse che si intrecciano in sottofondo. A differenza degli aeroporti europei, dove un panino può costare anche più di 10 euro, qui noto con sorpresa che i prezzi sono molto più accessibili e la varietà del cibo è notevole. È come trovarsi in un piccolo centro commerciale asiatico, più che in un luogo di transito.

Entro in un ristorante tipico, attratto dal profumo che arriva fino al corridoio, e ordino un piatto di Wonton Noodles: noodles conditi con una salsa scura, carne glassata adagiata sopra e brodo caldo servito a parte. Il tutto per circa 5 euro, bevanda inclusa. Mangio con calma, assaporando i sapori speziati e intensi, pensando a quanto sarebbe impensabile un pasto simile in un aeroporto europeo a questo prezzo.

Dopo pranzo, passeggio ancora un po’. Un odore delizioso mi attira verso una piccola bottega. Vende tortini salati ripieni di verdura, appena sfornati. Non resisto. Ne prendo uno e lo assaggio: è buonissimo. Croccante fuori, morbido e saporito all’interno. In quel momento non sto solo aspettando un volo: sto viaggiando anche attraverso il cibo.

L’orologio scorre veloce. Si avvicina l’ora del decollo. Mi incammino verso i controlli. Tutto fila liscio, i controlli di sicurezza sono scorrevoli e ben organizzati. Arrivato nella zona dei gates, noto con piacere la presenza di piccoli negozi e distributori d’acqua gratuita, proprio come quelli che si trovano in molti uffici in Europa. Una comodità che apprezzo molto. Li avevo già notati anche all’aeroporto di Shanghai, durante lo scalo iniziale del mio viaggio verso Singapore. Un dettaglio semplice, ma significativo.

Finalmente viene annunciato l’imbarco. Salgo a bordo dell’aereo, cerco il mio posto e mi sistemo. Le hostess di AirAsia, eleganti e sorridenti, mostrano le istruzioni di sicurezza. Poi, il rullaggio. Il temporale è ancora in atto, anche se di intensità minore. L’aereo accelera sulla pista bagnata e decolla, sollevandosi tra le nuvole scure, lasciando Kuala Lumpur alle spalle.

Turbolenze e paura: l’imprevisto prima dell’atterraggio

Il volo da Kuala Lumpur a Bangkok dura circa due ore, abbastanza per abbassare un po’ il sedile, mettermi le cuffie e chiudere gli occhi con della buona musica. Ogni tanto, però, qualche turbolenza mi sveglia di colpo, come se fossi su un autobus che prende buche a raffica. Nonostante questo, il viaggio si rivela tranquillo. L’aereo comincia la discesa, supera i nuvoloni che avvolgono la capitale thailandese, e mi affaccio al finestrino per vedere la metropoli sotto di me. Faccio un video. Mi preparo all’atterraggio, ormai imminente.

All’improvviso, senza preavviso, l’aereo accelera bruscamente e inizia a salire di nuovo. Prima dolcemente, poi quasi in verticale – almeno così mi è sembrato. Il cuore inizia a battere forte. Paura vera. Non capisco cosa stia succedendo. Bangkok sembrava lì, a un passo. Guardo attorno: volti impauriti, occhi sgranati, ma nessuno urla. Tutti incredibilmente silenziosi. Penso che se fosse accaduto dalle mie parti, sarebbe scoppiato il panico: grida, pianti, mani nei capelli. Ma qui no. Tutti fermi, compostamente spaventati.

Nessuna comunicazione dal comandante. L’aereo torna sopra le nuvole, si stabilizza in quota e la tensione si allenta. Finalmente una voce gracchia qualcosa in thailandese, poi in inglese, ma l’audio è pessimo, non capisco nulla. I passeggeri iniziano a chiedere alle hostess, ma nemmeno loro (o forse non vogliono) dicono cosa sia successo.

Pattaya, la sosta non prevista

Pensavo che stessimo girando intorno a Bangkok in attesa di un nuovo tentativo di atterraggio. Invece, il comandante annuncia che ci saremmo diretti verso l’aeroporto di Pattaya. Ancora un’ora di volo. A bordo le richieste aumentano. Nessuno sa quanto tempo si dovrà restare a Pattaya. L’incertezza, dopo la paura, è la cosa più snervante.

Atterriamo finalmente a Pattaya. Tiro un sospiro di sollievo. Ci dicono che non abbiamo potuto atterrare a Don Mueang a causa del maltempo. Il ritardo è ormai importante. Con altri passeggeri chiediamo di scendere, ma per motivi di sicurezza (e forse anche burocratici), non ci è concesso. Dovremo restare a bordo, in attesa della ripartenza per Bangkok.

Mi metto l’anima in pace. L’adrenalina cala. Inizio ad avere fame. Chiedo all’hostess il menu e scelgo un hamburger. Ma al momento del pagamento, scopro che accettano solo contanti. In bath. E io non ho ancora cambiato valuta. Quindi niente hamburger. Una beffa.

Mi rimetto le cuffie. Senza cibo ma con la musica. Passa un po’ di tempo, quando l’hostess che non mi aveva potuto vendere il pasto mi tocca sulla spalla e mi porge un bicchiere d’acqua. Un gesto piccolo, ma che in quel momento mi fa sorridere e mi scalda il cuore.

Nel frattempo compro una eSIM thailandese su Trip.com. Mando un messaggio a un amico italiano che mi sta aspettando a Bangkok. Gli racconto l’odissea. Mi risponde con calma: “Ok, ti aspetto. A più tardi.”
So già che arriverò oltre la mezzanotte a Khaosan Road, dove ho prenotato una stanza nello stesso hotel dove alloggia lui. Ma questa è l’Asia, e le grandi città non dormono mai. Anzi, la notte è il momento in cui si svegliano davvero.

Dopo circa due ore fermi nell’aeroporto di Pattaya, l’aereo riceve l’autorizzazione a decollare. Finalmente si vola di nuovo verso Bangkok.

Benvenuto in Thailandia (in italiano!)

Finalmente atterro a Bangkok. Esco dall’aereo e mi ritrovo all’interno dell’aeroporto Don Mueang, lo scalo più vecchio e meno moderno rispetto al Suvarnabhumi, ma comunque funzionale. Lungo un corridoio rivestito di moquette incrocio un robot simpaticissimo che pulisce i pavimenti, muovendosi silenzioso tra i passeggeri come se fosse uno di noi.

Mi avvicino ai controlli di frontiera. Passo al banco della polizia dove mi appongono il timbro sul passaporto: un gesto rapido ma sempre simbolico, un piccolo sigillo che segna l’inizio di una nuova avventura. Poco dopo arrivo al controllo biometrico: sullo schermo compare una donna thailandese sorridente, in abiti tradizionali, con le mani giunte davanti al petto. Sopra, una scritta sorprendente:
Benvenuto in Thailandia.
In italiano.

In quel momento, nonostante la stanchezza e la tensione accumulata durante il volo, mi sento più leggero. Sono stremato, ma felice. Sono in Thailandia. ❤️

Khaosan Road: il battesimo del backpacker

Mi dirigo al nastro per prendere il mio zaino. Esco dall’aeroporto e prenoto un Grab che mi porta verso Khaosan Road, il cuore pulsante del turismo backpacker. Quando arrivo è quasi mezzanotte. La strada, come previsto, è chiusa al traffico perché è completamente pedonale. Scendo all’inizio della via, zaino in spalla, e davanti a me si apre un mondo.

Un fiume di gente invade ogni angolo della strada: si ride, si canta, si beve, si balla. È una vera festa a cielo aperto. Attraverso la folla con il mio zaino addosso, completamente fuori contesto in mezzo a tutta quella movida, ma nessuno ci fa caso. Anzi, le ragazze e i ragazzi fuori dai locali mi invitano comunque a entrare. Con un sorriso gli mostro lo zaino e prometto:
Doccia e torno.

Arrivo in hotel. Faccio check-in, salgo in camera e mi concedo una doccia rigenerante, il miglior momento della giornata. Mi cambio, esco, e mando un messaggio al mio amico Andrea che, nel frattempo, è dall’altra parte della città. La fame si fa sentire, così decido di mangiare da solo.

Cammino per qualche minuto e, appena fuori dalla bolgia di Khaosan, trovo un ristorantino tipico e tranquillo. Ordino uno dei piatti thai più famosi: Pad Thai. Caldo, profumato, perfettamente bilanciato tra dolce, salato e piccante.
Lo gusto fino all’ultimo boccone.

Poi finalmente mi incontro con Andrea. Ci abbracciamo, facciamo due chiacchiere, beviamo qualcosa e restiamo insieme per circa un’ora. Entrambi siamo distrutti: io dal volo turbolentolui dal jet lag dopo l’arrivo dall’Italia.

Rientriamo in hotel e ci salutiamo, dandoci appuntamento per il giorno dopo.
È stata una giornata piena di emozioni, imprevisti, sorprese ed incontri. E anche se ho avuto davvero tanta paura, sono comunque grato, perché questa avventura sta diventando ogni giorno più intensa e indimenticabile.

4 risposte

  1. Avatar slowlyladyc8b9c26e3e
    slowlyladyc8b9c26e3e

    Grazie Vittorio! ho rivissuto le tue emozioni …bravo!

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    1. Avatar Vittorio Ragno

      Grazie 🙏😊

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  2. Avatar slowlyladyc8b9c26e3e
    slowlyladyc8b9c26e3e

    Grazie Vittorio, ho condiviso le tue emozioni!

    Piace a 1 persona

    1. Avatar Vittorio Ragno

      Grazie 🙏😊

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sono Vittorio

e ho deciso di raccontare il mio viaggio in solitaria attraverso l’Asia, zaino in spalla e spirito d’avventura.

Dopo anni di lavoro tra uffici e, di tanto in tanto, in giro per il mondo, ho sentito il bisogno di ritrovare un po’ me stesso. Così, nel 2025, ho preso un volo e ho attraversato Singapore, Malesia e Thailandia in un mese.

Questo blog nasce per condividere emozioni, errori, scoperte e ispirazioni.

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